Le interconnessioni di Muntadas «La percezione richiede impegno»
Da oggi la mostra a Villa delle Rose: 21 foto, video e installazioni dell’artista catalano
All’inizio del percorso della mostra dedicata ad Antoni Muntadas a Villa delle Rose, in via Saragozza 228/230, si trova subito un cartello che recita «Attenzione, la percezione richiede impegno». Uno «slogan» dell’artista, un manifesto programmatico in scala ridotta in uno degli «artefatti» artistici, come Muntadas ama chiamare i suoi lavori che chiedono agli spettatori di venire «attivati». Tassello iniziale della mostra dedicata all’artista nato a Barcellona nel 1942 ma di base a New York. Lorenzo Balbi, curatore con Cecilia Guida, nel catalogo in tre lingue che accompagna «Interconnessioni» inserisce Muntadas tra i pionieri dell’arte concettuale. Capace con i suoi progetti di indagare a fondo «gli effetti della globalizzazione, i processi di comunicazione e informazione in atto nella società contemporanea».
Il titolo dell’esposizione che si apre oggi alle 18, gratuita per tutta la durata di «Art City», fa riferimento a una frase dello storico dell’arte Mark Wigley, che ha definito l’errabondo Muntadas «una città piuttosto che una persona, una rete di spazi di scambio che opera per lunghi periodi piuttosto che un individuo». A sottolinearne il carattere di viaggiatore nomade e di instancabile tessitore di connessioni. Al centro dell’attenzione di Muntadas, che, ricorda Cecilia Guida, aveva iniziato con la pittura prima di sperimentare i più diversi media art, «stanno questioni come la globalizzazione, il capitalismo transnazionale, la relazione tra pubblico e privato, i rapporti tra monumenti e memoria». Negli anni, Muntadas si è molto dedicato anche alla didattica, insegnando al Mit di Boston e da una quindicina d’anni allo Iuav di Venezia.
L’artista ama usare la metafora del paesaggio per descrivere come il sistema dei media abbia creato scenari diversi da quelli tradizionalmente individuati dalla storia dell’arte come rappresentazione della natura. Paesaggi nuovi, dunque, determinati dalle tecnologie e analizzati con work in progress che possono durare anni. Come si potrà scoprire nei 21 lavori di una mostra che fa sèguito a un’altra sua personale da poco conclusa all’Artium Museum di Vitoria-Gasteiz nei Paesi Baschi. La Televisiòn, del 1980, vede un vecchio televisore collocato in alto in un angolo, come in un comune bar, mentre immagini pubblicitarie vengono proiettate come diapositive sull’apparecchio spento e sulle pareti vicine. Con in sottofondo la canzone
La Televisiun di Enzo Jannacci, quella che «la g’ha na forsa de leun«. E poi il lungo video di Political Advertisement che disvela le trasformazioni degli spot tv di propaganda politica dal 1952 a oggi e il sito
www.thefileroom.org, avviato nel 1994 per raccogliere casi di censura su scala globale, anticipando l’epoca di WikiLeaks. Materiali di Muntadas, che ci tiene a manifestare tutto il suo rispetto per la Bologna del passato, quella del Dams e di Umberto Eco, saranno visibili anche alla Fondazione Zeri di piazzetta Morandi, relativi a tre grandi progetti realizzati dall’artista negli ultimi anni.
Infine, un suo intervento pubblico site specific, On Translation: I Piedistalli, prende spunto da 59 busti di uomini illustri un tempo nel Parco della Montagnola, ritirati a causa di atti vandalici e dal 1998 conservati nel sottotetto di Villa delle Rose in attesa di restauro. Nella proposta concettuale di Muntadas non saranno però le immagini a diventare oggetto della sua opera bensì i piedistalli che le sostenevano, considerati una metafora del potere nelle sue diverse forme.