Eccellenze e punti deboli La guerra degli ospedali
Tagli ai posti letto, tempi di attesa lunghi al pronto soccorso o per le visite, la contesa sui punti nascita stroncata qualche giorno fa dal ministro Speranza: sono i temi più caldi, sulla questione sanità, dibattuti in campagna elettorale dai due candidati principali alle Regionali, Stefano Bonaccini del Pd e Lucia Borgonzoni della Lega. Cosa c’è da migliorare in un sistema sanitario come quello dell’Emilia-Romagna, considerato il top in Italia? Lo spiega il presidente uscente che vuole arrivare a massimo sei ore di attesa nei pronto soccorso e lo spiega la sfidante che vorrebbe più risorse per la disabilità e liste più snelle.
Che cosa è stato fatto in EmiliaRomagna negli ultimi cinque anni? Come si presenta la Regione guidata finora da Stefano Bonaccini, il presidente uscente che gli emilianoromagnoli il 26 gennaio decideranno se rieleggere o no? Luci e ombre, progetti iniziati e progetti mai partiti, volate e retromarce, punti critici o di forza. Abbiamo deciso di fare la «fotografia» dell’Emilia-Romagna su alcuni macro temi che, da qui alla data delle elezioni, il «Corriere di Bologna» tratterà in cinque puntate per capire cosa è stato fatto, cosa resta da fare e, soprattutto, quali sono le proposte dei due candidati presidenti accreditati della possibile vittoria: Stefano Bonaccini (Pd) sostenuto da sei liste di centrosinistra e Lucia Borgonzoni (Lega) che conta sull’appoggio di altrettante liste. Dopo la prima puntata dedicata a uno dei temi più importanti, quello delle infrastrutture, e la seconda sull’ambiente e le politiche «green» adottate (e future), oggi tocca alla sanità, tema che ha già visto i due principali sfidanti affrontarsi più volte e con toni polemici.Nella prossima puntata approfondiremo un altro tema delicato: economia e lavoro. La sanità dell’Emilia-Romagna non da oggi è ai vertici nazionali. E a dirlo sono istituti terzi o i dati del ministero della Salute. Rispetto al passato, però, la Regione guidata dal dem Stefano Bonaccini, che si ricandida per un nuovo quinquennio, ha voluto investire sul sistema sanitario per fargli fare un salto di qualità. Salto che, dal punto di vista degli oppositori, è invece all’indietro. Fin dalla sua precedente campagna elettorale, Bonaccini ha posto la sanità tra i suoi obiettivi principali di governo. Sono tre le più importanti medaglie che si può appuntare al petto: l’abbattimento delle liste d’attesa, le vaccinazioni e l’abolizione del superticket. Alle prime due, però, si accompagnano tuttora varie critiche.
Diverse le azioni messe in campo fin da subito per riavvicinare i tempi delle 90 prestazioni monitorate dal ministero della Salute entro i tempi massimi previsti, 30 giorni per le visite e 60 giorni per gli esami. Da una diversa modulazione delle visite e degli esami ad un aumento dell’offerta, anche attraverso convenzioni con il privato accreditato, da una maggiore appropriatezza nella gestione delle prime visite a più personale per affrontare le criticità. Ma la svolta è arrivata nel 2016, con il pagamento del ticket per chi non disdice. Il piano straordinario per l’abbattimento delle liste d’attesa è stato accompagnato da uno stanziamento ad hoc di 10 milioni di euro l’anno. E oggi l’Emilia-Romagna è la Regione con le migliori performance a livello nazionale per le prestazioni erogate nel 2018 (Osservatorio Crea Sanità). Non tutto è risolto però, perché talvolta la prestazione in tempo si ottiene lontano da casa, ben oltre i confini del distretto di residenza. Oppure pagando la prestazione in regime di libera professione. Secondo alcuni creando un doppio binario: chi può paga e ottiene la visita o l’esame subito e dove vuole, chi non può aspetta.
Sulle vaccinazioni l’EmiliaRomagna ha fatto, come noto, da apripista in Italia. Nel novembre 2016 la Regione ha reso obbligatoria l’immunizzazione per difterite, tetano, poliomielite ed epatite B per l’iscrizione ai nidi e ai servizi educativi. L’anno dopo il governo ha esteso da 4 a 10 le vaccinazioni obbligatorie previste per l’iscrizione a scuola, quindi per bambini da 0 a 16 anni. L’obiettivo della Regione, e del governo, era recuperare l’immunità di gregge, visto che in Italia e in regione erano tornati casi di morte per morbillo e pertosse. «Tutelare i bambini più fragili», è stato il leit motiv della campagna che ha attirato critiche e resistenze da parte dei no vax, soprattutto in alcuni territori della Romagna. Secondo gli ultimi dati forniti da viale Aldo Moro, relativi al 30 giugno 2019, la copertura vaccinale è al 97% tra i bambini di due anni con un incremento anche nei territori più refrattari ai vaccini, come la provincia di Rimini, dove si attesta sopra il 94%.
Dall’1 gennaio 2019 in Emilia-Romagna
i nuclei familiari con redditi fino a 100 mila euro non pagano più il superticket, cioè la quota aggiuntiva sui farmaci (fino a 2 euro per ogni confezione, con un tetto massimo di 4 euro a ricetta) e sulla specialistica ambulatoriale, cioè visite ed esami (fino a 10 euro a ricetta). Non solo. Le famiglie con almeno due figli a carico (sia i figli che i genitori) non pagano più il ticket
base da 23 euro sulle prime visite specialistiche. Un risparmio per le famiglie stimato in 34 milioni di euro coperti dalla Regione con fondi propri, derivanti dai risparmi ottenuti. Come? Con i risparmi derivati dalla razionalizzazione della spesa. IntercentEr, la centrale unica degli acquisti, ha infatti consentito un risparmio di 550 milioni dal 2015 (di cui oltre 175 milioni
solo nel 2018), su un totale di 662 milioni risparmiati nel periodo 2015-2018.
Tesa a ridurre i costi, e migliorare i servizi, è stata anche l’operazione di unificazione e riorganizzazione che ha portato alla nascita di un’unica azienda sanitaria a Reggio Emilia e di un secondo polo ospedaliero unico a Modena. Operazioni che arrivano dopo la nascita di un’unica Ausl Ro
magna, varata nel 2014 dal governo Errani, bersagliata dalla critiche delle opposizioni.
Tra le critiche più frequenti rivolte a chi ha governato viale Aldo Moro negli ultimi 5 anni, e non solo in questa campagna elettorale, c’è quella di aver tagliato personale e posti letto negli ospedali. I dati forniti dalla Regione segnalano che tra il 2016 e il settembre 2019 sono stati assunti a tempo indeterminato oltre 13.000 tra medici, infermieri, ostetriche, tecnici e operatori da Piacenza a Rimini, con un investimento di 24 milioni di euro. Di questi oltre 4.000 sono passati da un lavoro precario a uno stabile. Non bastano? La Regione sostiene di aver garantito una copertura del turnover con punte, nel 2019, superiori al 200%, percentuale unica in Italia. È vero che negli ospedali sono stati tagliati posti letto, perché è quanto richiedeva il ministero della Salute (Decreto Balduzzi) , ovvero di far rientrare anche l’Emilia-Romagna nella quota di 3,7 posti letto ogni mille abitanti,e varie spending review. La Regione ha riorganizzato i nosocomi secondo un modello «hub and spoke» (che in teoria prevede centri di eccellenza per i casi più complessi e centri periferici per pazienti che hanno superato una certa soglia di complessità, ndr) dove però sono ancora poco chiare le vocazioni degli ospedali periferici. In questi anni c’è stato un investimento di oltre 1 miliardo per ammodernare gli ospedali o progettarne di nuovi (Cesena, Carpi e Piacenza), per migliorare i laboratori e realizzare le Case della Salute, i cui effetti positivi (ad esempio sugli accessi impropri ai pronto soccorso) ancora non si vedono. Non si può non segnalare, parlando di ospedali, la contestata chiusura dei punti nascita della montagna, divenuto uno dei punti più accesi della campagna elettorale. Viale Aldo Moro ha rafforzato l’elisoccorso, possibile ora anche di notte. Ai detrattori non basta.
Che sanità è quella dell’Emilia-Romagna? Il Rapporto 2018 di Meridiano Sanità la colloca al primo posto per capacità di rispondere ai bisogni della popolazione e per indice di mantenimento dello stato di salute. Anche nell’ultimo rapporto della Fondazione Gimbe sulla mobilità sanitaria è al secondo posto, dopo Lombardia, per il saldo della mobilità sanitaria: sono più i pazienti che da altre regioni vengono a farsi curare in Emilia-Romagna che viceversa. Sulla base degli ultimi dati della «griglia Lea», elaborati dal ministero della Salute sui livelli essenziali di assistenza, siamo secondi, dopo il Piemonte. Risultati che hanno confermato la nostra tra le regioni benchmarck, ossia tra le regioni di riferimento nazionale.