Il lavoro disallineato, le richieste delle imprese e i curriculum dei giovani
Non si contano letteralmente più i rapporti e i libri, per non parlare dei convegni, dedicati all’argomento: il rischio di perdersi in un mare magnum di previsioni più o meno ragionevoli è alto. Se il «disallineamento» viene da lontano, da dove ripartire? Cominciamo col dire che le fondamentali competenze su scuola e università sono nelle mani del Governo nazionale. Il livello regionale ha margini di intervento significativi sull’istruzione e la formazione tecnica e professionale: torniamo così agli Istituti Tecnici Superiori (ITS), elemento centrale della rete politenica voluta dalla giunta regionale dell’Emilia-Romagna. Sono sette in regione le Fondazioni di partecipazione, che comprendono scuole, enti di formazione, imprese, università e centri di ricerca, sino a oggi costituite.
Nel loro insieme, danno vita – da questo anno scolastico 2019-2020 – a 27 percorsi formativi di due anni, post-diploma (ricadono infatti nella cosiddetta istruzione «terziaria», ma non universitaria). Le sette Fondazioni e i 27 percorsi formativi coprono tutto il territorio regionale e, soprattutto, sono coerenti con le specializzazioni tipiche della manifattura emiliano-romagnola (tecnologie della vita, industrie creative, ecc.).
Il ruolo principale è quello giocato dalla Fondazione ITS «Meccanica, meccatronica, motoristica, packaging», con ben dieci corsi istituiti fra la Romagna e Parma, passando naturalmente per Bologna, Modena e Reggio Emilia. I settori industriali di riferimento, che possiamo raggruppare in un macrosettore denominato meccanica avanzata, in Emilia-Romagna significano – in base agli ultimi dati Istat - 14,5 miliardi di euro di valore aggiunto (oltre il 40 per cento del valore aggiunto manifatturiero).
Ora, per un’industria fatta così, alcune centinaia di studenti iscritti, che in due anni diventeranno Tecnici Superiori, possono bastare? Certo, per rivestire ruoli tecnici di grande rilievo all’interno delle imprese ci sono i laureati (triennali e magistrali) che escono in primis dagli eccellenti Dipartimenti di Ingegneria delle Università emiliano-romagnole, così come dalle Business School. E ci sono – fatto assai significativo - i laureati che il «sistemaEmilia», grazie soprattutto al dinamismo della sua industria, riesce ad attrarre da altre regioni (il Veneto, ad esempio, è un territorio che perde laureati).
Ma anche tenendo conto delle academy aziendali, esiste un ampio consenso sul fatto che le poche centinaia di giovani iscritti agli ITS non siano sufficienti per i bisogni di personale qualificato della manifattura emiliano-romagnola (a cominciare dalla meccanica).
Federico Fubini ha più volte ricordato sul le colonne del Corriere della Sera le gigantesche differenze, in questo ordine di scuole, fra noi e la Germania: 8.000 iscritti agli ITS in tutt’Italia contro gli oltre 800.000 iscritti alle Fachhochschulen tedesche, una scuola-modello per un Paese che vanta una robusta base industriale. Proprio in virtù di ciò che di positivo, qui, in Emilia-Romagna, è già stato costruito, è questa la prospettiva verso cui tendere.