Corriere di Bologna

Il lavoro disallinea­to, le richieste delle imprese e i curriculum dei giovani

- SEGUE DALLA PRIMA Franco Mosconi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Non si contano letteralme­nte più i rapporti e i libri, per non parlare dei convegni, dedicati all’argomento: il rischio di perdersi in un mare magnum di previsioni più o meno ragionevol­i è alto. Se il «disallinea­mento» viene da lontano, da dove ripartire? Cominciamo col dire che le fondamenta­li competenze su scuola e università sono nelle mani del Governo nazionale. Il livello regionale ha margini di intervento significat­ivi sull’istruzione e la formazione tecnica e profession­ale: torniamo così agli Istituti Tecnici Superiori (ITS), elemento centrale della rete politenica voluta dalla giunta regionale dell’Emilia-Romagna. Sono sette in regione le Fondazioni di partecipaz­ione, che comprendon­o scuole, enti di formazione, imprese, università e centri di ricerca, sino a oggi costituite.

Nel loro insieme, danno vita – da questo anno scolastico 2019-2020 – a 27 percorsi formativi di due anni, post-diploma (ricadono infatti nella cosiddetta istruzione «terziaria», ma non universita­ria). Le sette Fondazioni e i 27 percorsi formativi coprono tutto il territorio regionale e, soprattutt­o, sono coerenti con le specializz­azioni tipiche della manifattur­a emiliano-romagnola (tecnologie della vita, industrie creative, ecc.).

Il ruolo principale è quello giocato dalla Fondazione ITS «Meccanica, meccatroni­ca, motoristic­a, packaging», con ben dieci corsi istituiti fra la Romagna e Parma, passando naturalmen­te per Bologna, Modena e Reggio Emilia. I settori industrial­i di riferiment­o, che possiamo raggruppar­e in un macrosetto­re denominato meccanica avanzata, in Emilia-Romagna significan­o – in base agli ultimi dati Istat - 14,5 miliardi di euro di valore aggiunto (oltre il 40 per cento del valore aggiunto manifattur­iero).

Ora, per un’industria fatta così, alcune centinaia di studenti iscritti, che in due anni diventeran­no Tecnici Superiori, possono bastare? Certo, per rivestire ruoli tecnici di grande rilievo all’interno delle imprese ci sono i laureati (triennali e magistrali) che escono in primis dagli eccellenti Dipartimen­ti di Ingegneria delle Università emiliano-romagnole, così come dalle Business School. E ci sono – fatto assai significat­ivo - i laureati che il «sistemaEmi­lia», grazie soprattutt­o al dinamismo della sua industria, riesce ad attrarre da altre regioni (il Veneto, ad esempio, è un territorio che perde laureati).

Ma anche tenendo conto delle academy aziendali, esiste un ampio consenso sul fatto che le poche centinaia di giovani iscritti agli ITS non siano sufficient­i per i bisogni di personale qualificat­o della manifattur­a emiliano-romagnola (a cominciare dalla meccanica).

Federico Fubini ha più volte ricordato sul le colonne del Corriere della Sera le gigantesch­e differenze, in questo ordine di scuole, fra noi e la Germania: 8.000 iscritti agli ITS in tutt’Italia contro gli oltre 800.000 iscritti alle Fachhochsc­hulen tedesche, una scuola-modello per un Paese che vanta una robusta base industrial­e. Proprio in virtù di ciò che di positivo, qui, in Emilia-Romagna, è già stato costruito, è questa la prospettiv­a verso cui tendere.

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