PERGAMENE SCONOSCIUTE
Brunetti dell’Alma Mater scopre l’autenticità dei versi di Guido delle Colonne
Si sa che della poesia italiana delle origini, quella che crebbe intorno alla corte siciliana e cosmopolita di Federico II di Svevia, non esistono autografi, ma principalmente successive trascrizioni toscane. È perciò una bella notizia la scoperta dovuta a una docente dell’Alma Mater, Giuseppina Brunetti, di documenti che recano in calce la firma di suo pugno di Guido delle Colonne, quel Guido giudice di cui parla Dante nel De vulgari eloquentia. Il poeta fiorentino definisce alcune delle cinque canzoni attribuite a Guido – in cui usa insieme settenari e endecasillabi - «illustri» e di «costruzione suprema».
La professoressa Brunetti è nota nel mondo accademico per il ritrovamento di altri importanti documenti (vedi box), tanto da meritarsi l’appellativo di «Indiana Jones della filologia», anche se forse più appropriato sarebbe paragonarla a Sherlock Holmes, e vedremo perché. Intanto ci racconta il suo ritrovamento, sul quale ha pubblicato un articolo sulla rivista «Critica del testo» (XXII, 2/2019) e tenuto di recente una conferenza alla Sorbona di Parigi. «Finora di Guido si conoscevano alcuni documenti, mai studiati. Oltre che poeta era giudice ai contratti a Messina, cioè doveva controfirmare le transazioni civili siglate da un notaio. Attivo sicuramente tra il 1243 e il 1280 e forse anche dopo i Vespri siciliani (1282, ndr), oltre alle canzoni firma anche la Historia destructionis Troiae, traduzione in prosa latina del poema francese di Benoît de Sainte-Maure. Nelle mie ricerche ho trovato altre volte la sua firma autografa, tanto da arrivare a un totale di dodici, con le ultime due proprio negli anni in cui aveva scritto e poi sospeso la prima parte della Historia, nel 1274 e nel
1277».
Vedremo l’importanza culturale, oltre che filologica, della scoperta. Guido inizia a poetare alla scuola di Federico II, scrivendo versi d’amore, come questi: «Amor che lungamente m’ài menato/ a freno stretto senza riposanza» (Amore che a lungo mi hai tenuto al tuo freno, senza requie), che nella miniatura di un codice mostra il poeta cavalcato da amore, e altrove addirittura il filosofo Aristotele nella stessa condizione di posseduto. Continua la studiosa: «Guido fa parte di un mondo ghibellino, quello dell’imperatore svevo, che diede largo spazio alla cultura, in un progetto teso a perseguire un’idea politica forte di nazione, tanto che Dante poté dire: “tutto quello che gli italiani dicono in poesia è siciliano e curiale”, ossia nasce in una corte. Dante celebra particolarmente Guido giudice, sottolineando l’aspetto retorico della sua poesia. Si tratta di canzoni filosofiche, espressione di una cultura superiore. Lui si firma magister, ossia si presenta come uno che ha studiato le arti del trivio e del quadrivio e conosce i classici. Naufragato il sogno di Federico, con le battaglie di Tagliacozzo e di Benevento e con la morte di re Enzo dopo la lunga prigionia a Bologna, in Sicilia arriva Carlo d’Angiò. E proprio in quegli anni Guido inizia la storia di Troia, anzi della violenza della sua distruzione, un’opera che verrà tradotta in tutte le lingue e sarà diffusa in tutto il mondo d’allora».
Intanto lui è sempre giudice a Messina: «Potremmo dire che è un uomo per tutte le stagioni, dato che attraversa l’era federiciana e quella angioina, ma anche che la sua Historia narra, interpreta la fine di un mondo. È stata a lungo messa in dubbio che l’autore di quest’opera sia lo stesso Guido, perché canta un tipo di amore diverso che nelle canzoni: là lo celebra, qua lo disprezza.
Ma è possibile che fosse cambiato il suo atteggiamento, dopo aver assistito alla fine e alla dissoluzione del sogno di Federico, mentre dall’altra parte, come intuiva già Carlo Dionisotti, non è credibile che esistano nello stesso periodo due Guido delle Colonne. La scoperta delle sue firme autografe nel 1274 e nel 1277 mi sembra taglino la testa ai dubbi».
La professoressa Brunetti come Sherlock Holmes, dicevamo: «Seguendo alcune tracce, armata delle mie lenti d’ingrandimento, sono andata a rovistare in vari archivi e soprattutto in quello, tra mare e cielo, di Santa Maria dell’Alto, sopra Messina, un monastero meraviglioso, con carte importanti custodite dal prete ma non ancora decifrate da nessuno. E questo mi ha confermato quello che ripeto sempre ai miei studenti: non basta possedere i testi, bisogna saperli leggere. Quando ho visto la firma di Guido, vi assicuro, è stata una grande emozione. La filologia non è un lavoro freddo: ci vogliono curiosità, ma soprattutto cuore. Sicuramente oltre a persone gentilissime, mi hanno aiutato il cielo e il mare meravigliosi e le buonissime granite di limone».
” Passione Ci vogliono curiosità e cuore, il mio non è un lavoro freddo