Storie di vite ai margini
Da oggi in libreria il terzo romanzo di Caterina Cavina
Arianna è albina. Figlia di una donna bipolare, è abituata a essere picchiata fin da piccola. Arianna è alcolizzata. Vive in una casa in campagna, tra gatti e rifiuti. Ogni tanto arriva David, il compagno, anche lui un alcolizzato violento, che la percuote. Arianna uscirà da questo dedalo consegnandosi a una casa di cura psichiatrica, piena di donne sfatte dalla droga, di anoressiche, di delinquenti, narcisisti, tossicodipendenti, di bipolari e paranoici. Là domerà un suo Minotauro, ma troverà anche altro,
” È una delle tante vicende che ho raccolto, in parte vere, osservate da me stessa, in parte inventate
sentimenti insospettati dai benpensanti in quelli che vengono reputati gironi di emarginazione e dannazione.
Caterina Cavina, classe 1972, scrittrice nata a Castel San Pietro, domiciliata a Medicina, operatrice socio sanitaria a Lugo, esce oggi in libreria con Le radici dei fiori (pp. 221, euro 16), il suo terzo romanzo dopo Le ciccione lo fanno meglio (2008) e La merla (2011). Questa volta l’editore non è Baldini & Castoldi ma la bolognese Pendragon, che annuncia la presentazione del libro il 9 marzo alla libreria Ambasciatori, virus permettendo.
«Arianna viene ricoverata in un reparto di giovani e poi trasferita in uno di persone più anziane», ci racconta l’autrice. «Qui si ritrova in camera con una compagna, Margherita, con alle spalle una lunga storia di depressione e di dipendenze, ora ammalata di cancro allo stadio terminale. Questa è una delle tante storie che ho raccolto, in parte vere, osservate da me stessa, in parte inventate, tanto che alla fine non si può dire cosa sia biografia e cosa immaginazione. Trovare una sola verità, in un romanzo, è una forzatura. Quello che conta è ciò che ricordiamo, spesso un miscuglio di vero e falso. L’importante è che la storia tenga, che si crei un mondo».
Lo dice lei, l’autrice, ma lo garantiamo dalla lettura: nonostante i personaggi siano tutti naufraghi della vita e molti passaggi appaiano duri, drammatici, il racconto non è pesante: «Ha, credo, una sua leggerezza, che deriva dal narrare storie nelle quali, in realtà, in molti si possono riconoscere, vicende che sono molto più comuni di quanto si creda». E ha una sua capacità di entrare a fondo nelle relazioni umane, usando la chiave della diversità del personaggio di Arianna, albina, aliena tra altri alieni.
Cavina ha lavorato al libro per 7 anni, lo stesso tempo da quando è impiegata come operatrice socio sanitaria. «Facevo la giornalista e curavo uffici stampa. Non si viveva. Ho fatto un corso e ho scelto una professione più sicura. Il mio lavoro un po’ mi è servito, per il libro. Facevo assistenza agli anziani; ora lavoro in cucina e sono animatrice. La situazione quando ho incominciato mi sembrava negativa. In quei luoghi si scatenano, per me sicuramente, problemi col dolore, con la sofferenza. Sai che non puoi far “guarire”: ti sembra di assistere a lente agonie. Poi capisci che il tuo piccolo aiuto serve, non puoi cambiare molto, ma qualcosa forse sì, magari solo aiutando a fare un cruciverba. Hai la fortuna di confrontarti con la visione del mondo degli anziani, disincantata. Quelli sono posti pieni di storie: danno uno sguardo più a largo raggio sulla vita».
Tutto ciò si respira in questo libro, dal titolo strano: «Le radici dei fiori è una frase che ho sentito per la prima volta a una riunione degli alcolisti anonimi. C’era uno che invitava a guardare i bei fiori, delicati, dalla parte forte delle radici infitte nel terreno. Mi è sembrata una splendida metafora sulla fragilità, vera o finta, e sulla forza dell’essere umano».