RIPENSARE L’ECONOMIA
Le conseguenze economiche del Coronavirus sembrano farsi particolarmente gravi per l’Emilia-Romagna e il Veneto, le due regioni che — insieme alla Lombardia — hanno dato vita all’ormai celebre «nuovo» Triangolo industriale italiano (l’area «LoVER», secondo un’altra formulazione). La Lombardia è, a tutt’oggi, la regione più colpita sia dal punto di vista dell’emergenza sanitaria, sia dal punto di vista economico.
Non accidentalmente, la città di Milano occupa un posto centrale nella riflessione che in questi giorni (meglio, settimane) si sta sviluppando nel Paese. E la stessa centralità la meritano due regioni come Emilia-Romagna e Veneto, capaci di giocare un ruolo così importante nell’economia italiana, e oltre. I due territori si piazzano, dopo la Lombardia (saldamente prima), al secondo e terzo posto nella graduatoria delle esportazioni. Viste nel loro assieme, con circa 130 miliardi di esportazioni contribuiscono per oltre un quarto (circa il 27-28%) all’export del Paese. Di più: in entrambe, il rapporto fra esportazioni e Pil sfiora il 40%, una percentuale simile a quello dei grandi Länder manifatturieri tedeschi. Questi dati ci dicono, molto semplicemente, una cosa: sono due regioni molto aperte agli scambi internazionali. E quando si partecipa a pieno titolo ai flussi di import-export si è naturalmente più esposti alle turbolenze dell’economia globale, come si è verificato nel 2009, l’anno successivo al grande crac. Nella globalizzazione del XXI secolo, i flussi commerciali di prodotti finiti non raccontano tutta la storia, giacché un ruolo chiave è rivestito da quelle che vengono chiamate catene globali del valore o, più semplicemente, catene di fornitura. Un prodotto che viene assemblato ed esce da un certo stabilimento (poniamo, in un Paese dell’Occidente) è il risultato di una frammentazione del processo produttivo su scala globale in quanto le sue componenti sono state fabbricate in diverse parti del mondo (moltissime in Oriente), là dove le ragioni di costo avevano reso conveniente spostare la produzione. È stato un autorevole economista, Richard Baldwin (Graduate Institute di Ginevra), a formulare l’originaria teoria sullo «spacchettamento» della produzione, giungendo a teorizzare la «grande convergenza» fra Paesi di nuova industrializzazione (Cina in primis) e quelli del G7. Per molti anni è stata una teoria non solo assai citata nella letteratura economica, ma anche suffragata dai fatti: basti pensare che il peso della Cina sul Pil mondiale, in meno di vent’anni, è passato dal 4 al 16%. Oggi il Coronavirus cambia, come minimo temporaneamente, le carte in tavola perché rifornirsi di componenti e prodotti intermedi nelle fabbriche localizzate nel Paese dove il virus si è scatenato sta diventando sempre più difficile, per non dire impossibile. L’Economia del Corriere della Sera di lunedì scorso (2 marzo), con gli articoli di Danilo Taino, Dario Di Vico e Francesco Giavazzi, ha offerto una lista dei settori maggiormente coinvolti dall’interruzione delle forniture all’industria europea e italiana: meccanica, automotive, farmaceutica, moda, elettronica di consumo. Sono settori industriali presenti, con diversi gradi d’importanza, nelle due regioni qui oggetto d’analisi. La domanda, giunti a questo punto, è d’obbligo: ci sono politiche che possano favorire il ritorno a casa (reshoring) di produzioni in precedenza delocalizzate? La domanda, dettata dall’emergenza Covid-19, ha in verità una valenza più generale: Romano Prodi ha da tempo messo in rilievo come il costo orario del lavoro cinese si stia rapidamente avvicinando al nostro. Nel cercare di rispondere alla domanda, possiamo dire che Emilia-Romagna e Veneto rappresentano due regioni medio-grandi con la stazza e le competenze necessarie per mettere in campo una prima serie di strumenti di policy per favorire il reshoring. Tuttavia, il vasto rimescolamento di carte nell’economia globale richiede, per essere affrontato con ragionevoli possibilità di successo, una politica industriale nazionale degna di questo nome. È in questo contesto che vanno promossi gli investimenti sulle più importanti traiettorie tecnologie, così come aumentati gli investimenti in conoscenza.