DOVE VA A QUEST’ORA?
Il tragitto tra redazione e casa è poco meno di 5 chilometri. Un percorso che, come succede per quelli che si devono percorrere ogni santo giorno, si fa di solito con il pilota automatico. Si sale in macchina e via, sembra che l’auto cammini da sola. Non l’altra sera. Imboccati i viali, la scena è subito surreale. Nemmeno ad agosto sono così vuoti. Ma tant’è, mica sono lì per divertirmi, devo soltanto tornare a casa dopo una giornata di lavoro. Tutto normale. Anzi, no.
Perché è la prima sera del coprifuoco anti coronavirus e questa volta pare che la gente l’abbia preso sul serio (finalmente). Le tre corsie in direzione Murri sono deserte. Incontro sì e no un paio di altre macchine, dai finestrini una fugace occhiata di complicità o sospetti: io posso stare qui, ma tu che ci fai? è il retropensiero di tutti. Avanti, imbocco via Murri, silenzio e vuoto. La caffetteria che di solito alle 22 accoglie ancora tanti forzati dell’aperitivo è chiusa e buia. Del resto, il coprifuoco per i locali scatta alle 18. Le strade desolate cominciano a trasmettere una sensazione di inquietudine, come se all’improvviso un mostro, un alieno, un contaminato dovesse spuntare al prossimo incrocio. Ripenso a quel racconto di Dino Buzzati, con il protagonista (in treno in quel caso) che corre veloce in una direzione mentre tutti gli altri vanno dalla parte opposta. E lui non sa perché. L’impressione è un po’ la stessa: che ci faccio qui? comincio a chiedermi. Quindi accelero, a casa ormai manca davvero poco. Altro incrocio, è rosso, mi fermo. Scatto una foto ricordo, quando mi capiterà di rivedere Bologna così, a marzo? Con la coda dell’occhio noto un’auto che fa inversione, cammina verso di me. è bianca e azzurra. Ok, una volante della polizia. Non ho nulla da temere, ma mi sento in difetto, «ecco ora mi fermano». Verde, riparto: anche loro, accendono i lampeggianti blu. Accosto. Spengo il motore. Tiro giù il finestrino lato guidatore, si fa così. Invece no, il cortese agente di polizia si affianca all’altro: anche i controlli devono essere a misura di droplet. «Buonasera, che fa in giro a quest’ora?». Un po’ mi viene da sorridere, sono le 22.15, mica le quattro di notte… «Rientro a casa dal lavoro», rispondo. L’autocertificazione, però, non ce l’ho e allora scatta la trafila: patente, libretto, tesserino da giornalista. Poi mi danno il modulo da compilare: «Dichiara sotto la propri responsabilità di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio…che lo spostamento è determinato da …» e qui barro la casella «comprovate esigenze lavorative». Passano i minuti, altri sfrecciano accanto sulla strada, tanto stanno controllando me. Sono pochissimi, comunque. In dieci minuti è tutto finito. «Grazie, può andare». Ma una cosa l’ho imparata: i controlli ci sono e l’autocertificazione va fatta. Poi possiamo pensare che nessuno beccherà mai proprio noi, perché è ovvio che lo Stato non può blindare tutte le strade (in Cina, forse sì). Un po’ come per il Covid19, c’è ancora chi dice «a me non succederà». La volante riparte, io pure. Finalmente a casa, dove resterò. Come dovremmo fare tutti.