Il sabato prima della bozza suonava come una canzone dei Baustelle
Anche per compiere gli anni ci vuole tempismo, e quello di quest’anno, niente da dire, è stato scadente. Come far uscire il proprio romanzo d’esordio il 12 settembre 2001, cosa che, in effetti, ho fatto. Siccome sono nato l’11 marzo, direi che come tempismo questo se la gioca con quello del 1977. Solo che all’epoca avevo sei anni, non sapevo molto di Radio Alice o di Lorusso o dei carri armati in piazza Verdi.
Se dovessi ricostruire l’escalation, direi che tutto è cominciato da una battuta nel gruppo WhatsApp chiamata: Sardocinese. Ognuno di noi vive in una folta ragnatela di gruppi e sottogruppi, tanto che ogni tanto bisogna assicurarsi di non averne confuso uno con un altro con conseguenze diplomatiche mortali. Insomma, con una delle varie compagnie di amici stavamo organizzando una cena — che cosa antica e dimenticata! — all’Osteria Sardocinese che è sotto il ponte di via Stalingrado, in quel triangolo di locali — i locali, i concerti, la musica, che nostalgia! — noti come Freakout, Mikasa e Locomotiv. Al Sardocinese c’è — c’era? Ci sarà di nuovo? — un menu sardo e uno cinese, per cui è divertente vedere la bizzarra composizione delle tavolate, ravioli al vapore e malloreddus. L’appuntamento era sabato 22 febbraio, la chat era festosa, le conversazioni vertevano sui pittoreschi camerieri, tutte cose divertenti e divertite. Finché, il venerdì, non era uscito il caso di Codogno. E io avevo scritto, ingenuo: Oh, lo sapete che qualche settimana fa ero proprio a Codogno? (Lo so, sembra incredibile, ma si potevano ancora azzardare delle battute, il 21 febbraio). Il gruppo aveva reagito come immaginavo reagissero: battute, meme, finti «dagli all’untore». Due di loro, però, non avevano scherzato affatto. Si erano scusati, certo, ma una aveva le figlie piccole, uno i genitori anziani, la mia presenza, come dire, li metteva a disagio. Allora avevo spiegato: guardate che a Codogno ho solo cambiato treno, ho visto un binario, nemmeno la stazione, un binario, fino a quel giorno per me Codogno era un terzino dell’Atalanta. No, niente: avevamo dovuto rimandare la cena a momenti migliori.
Mentre il gruppo Sardocinese si tramutava in un bollettino dei contagiati e dei morti, un paio di noi resistevano tenacemente. Ragazzi, dicevamo, state tranquilli, dai, noi stasera siamo al Pratello, noi stasera siamo al Fun Cool Oh, noi stasera siamo al Gallery16, la gente beve tranquilla — la gente beveva tranquilla nei
” Fermi, distanti, senza musica o nient’altro Non molto felice, come ultima notte del mondo
locali! —, cerchiamo di non impazzire. Ma la posizione diventava sempre più minoritaria, accolta con ostilità e commenti sempre più ruvidi sulla mia irresponsabilità.
E poi era uscita la famosa bozza fatta trapelare chissà come, in un sabato sera che suonava come la canzone dei Baustelle. L’ultima notte felice del mondo. Con i locali costretti a farci entrare con il numerino per rispettare il numero di presenze, noi obbligati a stare seduti, fermi, distanti, senza musica o nient’altro. Non molto felice, come ultima notte del mondo.
Poi mi ero macerato un paio di giorni nel dubbio: mercoledì ho il mio compleanno, vorrei andare al locale di un mio amico e invitare un po’ di gente per fargli incassare due soldi in quest’orrido periodo. Però non è facilissimo scrivere su Facebook «venite al mio compleanno, scaglionati, in pochi alla volta, per carità» senza passare comunque per untore irrispettoso del martellante «State a casa!». Che fare? Aiutare il mio amico? Rinunciare? E se ci andiamo, ho pensato, ma il locale ha la vetrina trasparente, e da fuori ci fanno le foto, le postano sui social, ci danno dei disgraziati irrispettosi dell’emergenza. Ecco: la chiusura obbligata alle 18 mi ha tolto il dilemma.
Forse il prossimo compleanno lo passerò in pieno inverno nucleare.
Non è detto che sia peggio di così.