Dalla negazione all’accettazione (e alla fine resteranno le casalinghe)
Medicina, zona rossa. Le fasi dell’elaborazione del lutto. Prima: negazione. «Non posso crederci», «Non sta succedendo davvero». Negare la perdita, rifiutare la realtà. «No, non è vero che non posso passare, che non posso andare al lavoro, uscire, fare una passeggiata, no...».
Seconda fase: rabbia. «Non è giusto! Cosa ho fatto per meritarmi questo?». La perdita vissuta come una ingiustizia. «E se perdo il lavoro? Chi mi ripaga? Ma quello, quello che fa? Corre? E io che sto in casa, chi sono? Ma la polizia, i militari, ma che ci fanno qua? Non sarà tutto un complotto per metterci sotto a un regime?»
Terza fase: contrattazione. «Superare questo momento mi renderà più forte», «Se ne esco, giuro che non farò più gli stessi errori». Infatti. Già mi godrò tutto! Farò finalmente quel viaggio, quello che ho rifiutato a Gallipoli perché avevo troppi impegni. Sì, starò più vicina ai miei parenti, a chi amo, non rimanderò più un ti voglio bene, un ti penso, ho bisogno di te. Ma io facevo già quelle cose a dire il vero... va be’.
Quarta fase: depressione. «La mia vita è un inferno». «Non c’è via d’uscita». Chissà quando finirà, una mia amica ha un fratello militare e dice che staranno qua fino a giugno, sarà... però in fondo anche in Cina ci sono voluti due mesi, no? Oddio, giugno. Come farò? Perderò il sonno, ingrasserò (ma c’è anche chi dimagrisce in depressione, non disperiamo); non saprò più concentrarmi, diventerò irritabile come quelli che berciano
” Covid-19 è un virus di genere. Pare uccida per lo più uomini «rei» di andare al bar, giocare a calcetto, assembrarsi
contro chi va a correre (non si deve, non si deve...) o suonano l’inno di Mameli sui balconi (certo con quel «siam pronti alla morte»...), comincerò a dormire tanto (considerato che in genere non superavo le cinque ore a notte...).
Quinta fase: l’accettazione. È quella finale, quella che se ci arrivi vuole dire che il lutto lo hai superato, bene o male. Potrai essere ancora rabbioso o depresso, ma in forma minore. Sei pronto a dare un senso a ciò che è successo.
Se raggiungerò mai la quinta fase sarà grazie alle donne. Covid-19 è un virus di genere, secondo me. Pare ammazzi soprattutto gli uomini (qui a Medicna, solo gli uomini, ben 11), «rei» di andare al bar, giocare a calcetto, fare branco, assembrarsi insomma. Okay, non è politicamente corretto quello che sto scrivendo, ma un po’ è così. E noi donne? Noi siamo nate per resistere sole. Siamo le regine della casa, del focolaio (domestico). Ho amiche che mi hanno offerto tortellini fatti in casa (ritiro al check point), altre, Samanta, che mi dà lezioni di trucco online («Puoi andare da Tigotà a prendere l’illuminante? È chiuso? Come!»). Alcune mi raccontano la nuova organizzazione domestica con un familiare in quarantena (piani separati, bagni separati, tutto separato). Sento una mia amica, Martina Chiara, lei è veneta e reclusa da un po’ più di me. «I primi giorni non ci credi, poi ti metti a pulire l’impossibile, a cucinare, alla fine non ce la fai più e... diventi creativa». Martina fa dirette Facebook molto divertenti, le prepara meticolosamente. La prima è stata un tutorial dove insegnava a truccarsi stile arcobaleno. Nella seconda era più sexy, vestita da burlesque, spiegava alle recluse e ai reclusi come sperimentare metodi di seduzione nuovi. Per la terza chiede aiuto. «Vorrei fare una diretta sull’amore ai tempi del Covid-19, una lettura di lettere appassionate per gli amanti distanti. Hai suggerimenti? Dante no, Beatrice non ci sarebbe mai stata, idem Leopardi con Silvia, Giulietta e Romeo? Quelli muoiono! Non è il caso». Suggerisco Raperonzola. «Perfetta! È reclusa e poi, con tutti i parrucchieri chiusi sai che chiome fluenti avremo?».
Sorrido e penso: donne, il sesso forte. Quinta fase raggiunta, è ora di voltare pagina.