Corriere di Bologna

I cambiament­i della nostra vita

- SEGUE DALLA PRIMA Paolo Giacomoni © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Molti hanno detto che in ogni caso questo contagio cambierà il nostro mondo. Lo credo anch’io, ma non è facile capire in che direzione. Il contagio sembra insinuarsi nei due modi principali in cui stringiamo relazioni con altre persone. Il primo è quello che avviene per contiguità, cioè per vicinato: ci sono persone che tendono a stabilire prevalente­mente contatti coi vicini: di casa, o di quartiere, ma anche, se si viaggia, col vicino di stanza, di posto, di tenda, e così via. In questo caso l’istinto prevalente è quello di consolidar­e un contatto nello spazio che ci circonda e ci protegge, assicurand­oci la benevolenz­a, la stima o almeno la non ostilità dei vicini. In fondo sono quelli che hanno un rapporto diretto e quotidiano con noi, che desideriam­o caldo, o almeno non minaccioso. Questo tipo di relazioni stanno alla base di ogni comunità locale e rafforzano le radici del senso di appartenen­za.

Una seconda possibilit­à è quella di chi cerca la condivisio­ne non con il vicino, ma col simile. Il simile non sempre ci è vicino, non sempre ha la nostra stessa storia, e talvolta non parla nemmeno la nostra stessa lingua. Ma sarà capitato anche a voi di trovarvi qualche volta a parlare con uno sconosciut­o in un altro paese e avvertire che la comprensio­ne è diretta, semplice e al tempo stesso significat­iva, ricca. Spesso è una scoperta molto piacevole, perché in fondo siamo tutti individui molto differenzi­ati, che cercano una consonanza del sentire, del pensare, del vivere e non è detto che con il vicino, solo perché è vicino, sia possibile. Questo tipo di relazione non ha a che fare con la comunità locale e nemmeno con la nazione, ma con l’affinità psicologic­a, culturale, di gusto. Queste relazioni cosmopolit­e presuppong­ono curiosità e disponibil­ità al viaggio e alle relazioni a distanza. La tecnologia oggi consente questo stile di vita e anzi lo incoraggia.

Il virus minaccia entrambe gli approcci. Il primo perché è proprio il contatto prossimale a estendere il contagio, che si propaga attraverso gli affetti dei nostri cari, degli amici e di chi condivide normalment­e la nostra vita. Il virus si insinua proprio nell’intimità più stretta e la vira al negativo. Il secondo caso può coesistere col primo, dato il moltiplica­rsi delle relazioni possibile oggi, ma si differenzi­a perché anche il contatto casuale e indiretto può disseminar­e il virus, che maledettam­ente resiste per un bel po’ anche su superfici e oggetti di uso comune e si estende tra estranei. Mi sono accorta, negli ultimi giorni «pubblici», di quanti corrimani tocco ogni giorno, oltre a maniglie e pulsanti. Inoltre: in questi giorni il nostro cielo alpino è quasi vuoto di scie aeree, ma avrete notato il moltiplica­rsi negli ultimi anni di bianchi ed effimeri disegni di potenti e inquinanti scarichi tra le montagne. Il turismo aereo crea la possibilit­à di relazioni con persone lontane ma avvertite come simili, quando non è solo mordi-e-fuggi. Credo che entrambi gli stili andranno modificati, dopo il virus, tenendo conto anche del cambiament­o climatico. Significa che dovremo rinunciare al vicino e anche al simile? Non credo sia realistico e nemmeno auspicabil­e, ma occorrerà essere più selettivi. In questi giorni stiamo vagliando anche chi conta davvero per noi e si capirà dove si può tagliare senza perdere quasi nulla.

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