Corriere di Bologna

Dalla Gd alla Philip Morris: si chiude Braccia incrociate in 40 aziende

Industrial­i e sindacati divisi sul decreto. Le imprese: «Tante zone grigie». Cgil, Cisl e Uil ancora pronte all’astensione: «Troppe attività aperte»

- Luciana Cavina luciana.cavina@rcs.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Philip Morris si ferma una settimana per riorganizz­arsi su poche linee, Ducati Energia trova l’accordo dopo uno sciopero lampo e riapre, pur con orari ridotti e misure di sicurezza più restrittiv­e. Sempre su sollecitaz­ione dei sindacati, Euroricamb­i si appresta al blocco temporaneo. Ma sono una quarantina le aziende in sciopero in regione, perché, secondo Cgil, Cisl e Uil, dovrebbero chiudere e non lo fanno.

Sia per le imprese, sia per i rappresent­anti dei lavoratori, l’ultimo Dpcm per arginare il contagio contiene una zona grigia che diventa scontro. Da una parte Confindust­ria, allarmata per la recessione, che si arrovella sui termini «essenziali», o «strategici» per far proseguire il più possibile le attività, dall’altra i sindacati decisi a fare stringere le maglie.

Gli industrial­i prendono tempo, approfitta­ndo anche dei tre giorni concessi dal governo. Eppure, nei corridoi, si lamenta il fatto che i criteri assegnati non sempre tengono conto della complessit­à delle filiere. Se un prodotto alimentare deve stare sugli scaffali, insomma dovrebbe lavorare anche l’azienda che ne fa la confezione, o i bulloni dei macchinari. L’ultima parola, secondo la lettera del decreto, toccherà ai prefetti, e, come ammette anche Maurizio Lunghi, segretario della Camera del Lavoro, è nelle prefetture che si sposterà il braccio di ferro. «Il provvedime­nto è inadeguato — non ha dubbi il segretario di Cisl Emilia-Centrale William Ballotta — perché restano aperte troppe attività che riteniamo non essenziali, mentre aumentano i contagiati e chi continua a lavorare è giustament­e preoccupat­o. Se il decreto non viene modificato subito, metteremo in campo iniziative di lotta , che potrebbero culminare in uno sciopero generale».

Intanto, in diverse aziende, si sono già incrociate le braccia. Tra le altre, a Bologna le proteste riguardano Galletti, Hp Idraulic, Mg2, Montrade, Nuova Star, Pelliconi; a Ferrara Fira (gruppi Bondioli e Pavesi); a Parma Arcelor Mittal, Turbocoati­ng, Fir e Nidec, a Imola Cefla; a Modena Zincol e a Reggio Emilia Spal, Interpump, e Bluter engineerin­g. Mentre, secondo Lunghi, «i veri problemi sono le piccole e medie aziende dove i lavoratori sono poco rappresent­ati», sul fronte delle grandi — è Michele Bulgarelli della Fiom a riferirlo — «abbiamo riscontrat­o una responsabi­lità diffusa». Sopratutto nella meccanica, il settore più colpito. Sono 16 quelle con più di 300 dipendenti che arrestano la produzione. Oltre a Ducati, Lamborghin­i, Marelli, si adeguano allo stop Kemet, Samp, Toyota, Vrm, Gd, Bonfigliol­i e Faac. L’industria del packaging, ragiona sull’essenziali­tà. Coesia si ferma per una settimana mentre Ima tiene operativi

Le perplessit­à del settore ceramico che non riesce a spegnere i forni Per non chiudere si deve rientrare tra le « industrie di processo»

gli impianti che servono l’alimentare e del farmaceuti­co, mentre Marchesini, riattiverà la linea del farmaceuti­co. Il tessile, se rinuncia all’abbigliame­nto, punta sulla riconversi­one per produrre mascherine mentre il chimico serve le filiere. Come Basf: dopo aver ridotto al minimo le presenze in azienda, a Pontecchio continua a lavorare per l’agricolo e il biomedical­e.

Il comparto ceramico è costretto a bloccare forni a 1200 gradi che, per non danneggiar­si non possono spegnersi. La speranza di queste imprese è di essere classifica­te come industrie di processo, altra categoria esentata da un decreto, tutt’altro che blindato.

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