DAVIDE ORSINI, IL «CUSTODE» DEI COMPAGNI
Se l’unità di misura del dolore fossero i singhiozzi del pianto, allora si potrebbe dire che quello per la scomparsa improvvisa di Davide è un dolore enorme, così grande che le parole che provano a pronunciare quanti l’hanno amato e conosciuto e vissuto, anche solo per un piccolo pezzo, si fermano in gola. E restano lì, soffocate dentro i singhiozzi, dentro le pause per buttare giù le lacrime, dentro il silenzio che si forma tra un ricordo e l’altro. Davide. Il «compagno» Davide Orsini. Cresciuto a pane e valori della sinistra emiliana da due genitori, Libero e Anna, anche loro impegnati politicamente. Un «comunista emiliano», l’ha definito qualcuno tra i suoi colleghi di partito. Ed è al partito (prima il Pci, poi il Pds, poi i Ds e infine il Pd) che Davide, scomparso a soli 49 anni, ha dedicato la fetta più grande della sua vita.
L’infanzia in San Donato, poi il trasferimento a Osteria Grande, a pochi chilometri da Castel San Pietro, insieme ai genitori. Un nonno partigiano, Umberto, molto riservato sulla sua vita passata, a cui era molto legato: erano passati nei geni di Davide i valori dell’antifascismo, erano entrati a far parte di lui così tanto che, da adulto, ripercorsi i suoi passi all’inverso e tornato a vivere in San Donato, era diventato membro dell’Anpi e amico di tutti gli anziani partigiani. Gli ricordavano il nonno Umberto, forse. Gli ricordavano continuamente il sacrificio che qualcuno aveva fatto per chi era venuto dopo. E così Davide li «curava» come faceva con le sue piante: uno a uno, casa per casa. Portava le tessere dell’Anpi a chi non poteva muoversi e ascoltava le vite di chi gli apriva la porta. Ascoltava. Ascoltava tutti. E scrutava tutti con uno sguardo che riusciva a cogliere le ombre del momento. «Come mai hai quella faccina così triste oggi?», chiedeva a chi non riusciva a camuffare lo stato d’animo. Perché essere «compagni», per lui, era anche questo: accorgersi degli altri e sparire per un attimo. Ascoltare ancora prima di parlare. Essere di conforto, ancora prima di chiedere conforto. Entrava in punta di piedi nella vita degli altri, senza mettere in piazza la sua. Faceva senza dire. E mentre faceva, lasciava un segno del suo passaggio. Un pensiero, un gesto, un messaggio per accertarsi che la vita degli altri procedesse senza intoppi. Sperava che tutto, per tutti, filasse via liscio. Quando non era così, lui, senza avvisare, arrivava a «bussare».
Ragioniere, da molti anni dipendente di una società che commercializza materie prime, Davide, ogni giorno, uscito dall’ufficio, andava al circolo del Pd di viale della Repubblica. Ogni giorno. Compariva con la sua borsa marrone a tracolla, si accertava che tutto fosse a posto e si fermava ad ascoltare quelli che avevano bisogno di essere ascoltati. Impossibile tenerlo lontano da lì, come è impossibile tenere le persone lontane dalle passioni più profonde.
Ai tavoli della festa dell’Unità, dove non è mai mancato una volta, accompagnava chi arrivava. Con quel sorriso di cui forse, tanti anni fa, si era innamorata la sua Anna, che vive a Verona: un amore a distanza, fatto di treni nel fine settimana. «Io ci sono sempre, ma nel fine settimana sono per la mia famiglia», diceva ai compagni di partito e del Quartiere San Donato-San Vitale dove era diventato capogruppo del centrosinistra. Con la sua Anna, Davide viaggiava per imparare cose nuove. Gli piacevano gli esseri umani e curava le piante. Ha fatto germogliare qualcosa ovunque si potesse. Adesso è il tempo dei singhiozzi. Delle parole strozzate in gola che un giorno ritorneranno.
Cresciuto a Osteria Grande, vent’anni fa era tornato a vivere in San Donato. Tutti i giorni, uscito dall’ufficio, andava al circolo del Pd di via del Lavoro ad ascoltare le persone