«Lotta al virus casa per casa»
Viale: «Da oggi usciamo dagli ospedali, cominciamo con cento visite a domicilio solo a Medicina»
Curare a casa i malati (lievi) di coronavirus. Si parte oggi da Medicina, presto anche a Bologna. Intanto i decessi in regione sono oltre mille: record a Bologna con 15.
” Il nostro esercito benché ferito e decimato ha deciso di contrattaccare combattendo strada per strada Lo faremo sul territorio dell’Ausl e auspico anche in regione
La nuova strategia partirà da Medicina con la somministrazione di idrossiclorochina a un centinaio di soggetti. Nuovi farmaci, speranze dal Canakinumab
«Usciamo dagli ospedali e andiamo a caccia del virus, combattendo strada per strada, non aspettiamo più i pazienti in pronto soccorso, ma andiamo a curarli a casa». Cambia la strategia contro il coronavirus e si passa all’attacco. Si parte oggi da Medicina, con un centinaio di persone. Poi si andrà avanti nel resto del territorio bolognese e in regione. A raccontare il cambio di passo è Pierluigi Viale, professore dell’Alma Mater, direttore delle Malattie infettive del Sant’Orsola ed esperto di riferimento nell’unità di crisi della Regione sul coronavirus.
Professore, qual è ora la terapia contro il Covid-19?
«La malattia è caratterizzata da due fasi. All’inizio è totalmente una malattia virale, dominata dalla replicazione virale. La seconda fase è caratterizzata dall’azione infiammatoria in risposta all’azione del virus. In questa, nelle forme gravi, si genera una risposta non regolata, noi la chiamiamo “disregolata”, eccessivamente violenta che innesca una specie di uragano di citochine, che a sua volta innesca una condizione patologica che genera una gravissima insufficienza respiratoria. Il problema non è solo trovare un nuovo farmaco, ma dare il farmaco giusto al momento giusto».
Cioè? «Finora i farmaci, anche quelli sperimentali, sono stati dati prendendo condizioni della malattia completamente diversi: se dò un farmaco antivirale troppo tardi non serve, se somministro gli immunomodulanti, che bloccano le citochine, troppo presto, può essere controproducente. Tutte le sperimentazioni fatte finora su farmaci antivirali vanno rifatte su pazienti in fase precoce di malattia. La novità è capire quel è il giusto farmaco al dato momento».
Quale farmaco risulta migliore al momento?
«L’antivirale che dà più garanzie è l’idrossiclorochina, un vecchio antimalarico che blocca l’ingresso del virus nelle cellule e ha già dato buona prova di sé. È l’unico antivirale che ha anche un’azione antinfiammatoria e quindi ha funzionato anche se usato in modo incongruo. Si è visto inoltre che i pazienti che prendono la clorochina hanno un’eliminazione più rapida del virus: somministrarla precocemente significa evitare la progressione della malattia in una quota di pazienti e ridurre il tempo in cui questi pazienti sono contagiosi. È un presupposto teorico molto bello supportato da dati piccoli, ma è il punto da cui siamo partiti per sperimentare un nuovo paradigma di cura».
Vale a dire?
«Non aspettiamo più i malati in ospedale, andiamo a cercarli a casa. Non voglio più vedere pazienti che arrivano più morti che vivi perché sono stati a casa dieci giorni con febbre. Facciamo delle unità mobili tra Malattie infettive, Igiene pubblica, medici di medicina generale... per individuare i pazienti a casa che non stanno bene. Il pronto soccorso va a casa loro».
Finora era stato detto che chi aveva febbre doveva stare a casa, no?
«All’inizio bisognava evitare di intasare i pronto soccorso, ora invece bisogna cambiare strategia».
Comincerete da Medicina?
«Domattina (oggi per chi legge, ndr) iniziamo a testare il modello almeno con 100 pazienti. Poi li cercheremo giorno per giorno, staneremo il virus. Il nostro esercito benché ferito e decimato ha deciso di contrattaccare combattendo strada per strada. Lo faremo sul territorio dell’Ausl e auspico anche in regione. Forse è un’azione che potrebbe essere importante non solo dal punto di vista clinico ma anche epidemiologico».
Professore, si sente molto parlare della sperimentazione di nuovi farmaci. Anche a Bologna?
«Ci sono due linee di ricerca per i pazienti con gravi insufficienza respiratoria. La prima è la verifica di metodiche di assistenza respiratoria più aggressive. La seconda riguarda nuovi immunomodulanti, tra cui il Tocilizumab, che abbiamo usato in più di 100 pazienti e che viene usato in molti altri centri della regione. Si è dimostrato efficace in una buona percentuale di casi, oltre il 50%, al punto che Aifa ha fatto partire un protocollo nazionale. Questa sperimentazione ora però è bloccata perché non c’è più farmaco: Roche, l’azienda che lo produce, l’ha dato gratis ma è stato consumato tutto quello che c’era. A Bologna siamo in contatto con altri gruppi per partire con una serie di nuovi farmaci che hanno più o meno la stessa filosofia».
Ce n’è uno in particolare?
«Il più promettente si chiama Canakinumab. Inoltre c’è la riscoperta dell’uso degli steroidi, il cortisone, nella fase avanzata della malattia. Il punto resta però capire quando passare dalla terapia virale all’immunomodulante».
Il tempismo è fondamentale?
«Esatto. Per ora ci siamo basati sulla condizione di insufficienza respiratoria del paziente ma di fronte a una pari tempesta di citochine un giovane resiste di più e altera i parametri più lentamente, con il rischio di arrivare troppo tardi con la terapia. C’è un gruppo di ricerca tutto bolognese che sta lavorando intensamente per mettere a punto un sistema di score predittivo dell’evoluzione della malattia che ci può aiutare a individuare il momento giusto. Come insegna, però, la storia delle malattie infettive, le epidemie non si controllano con i farmaci ma con gli interventi comportamentali e igienici della popolazione».
Stare in casa. Ma il famoso picco quando sarà?
«I modelli matematici dicono che in Italia siamo vicini al picco, tuttavia la storia è piena di modelli matematici non corretti. Sabato, domenica e lunedì siamo stati contentissimi, martedì pomeriggio è stata l’apocalisse».