Corriere di Bologna

DOMANDE PER IL DOPO

- Di Simone Casalini

Quando l’emergenza sarà conclusa —o forse anche prima — sarebbe utile spiegare come mai nel mondo, negli Stati e tra le Organizzaz­ioni sovranazio­nali sia assente un piano strategico serio di contenimen­to delle epidemie da virus. Bill Gates lo aveva ricordato in un Tedx di cinque anni fa: «Oggi la più grande catastrofe globale che può accadere non è una guerra nucleare. Se qualcosa potrà uccidere più di dieci milioni di persone questo sarà un virus contagioso».

Abbiamo investito tantissimo in deterrenti nucleari e pochissimo nella creazione di un sistema che fermi l’epidemia». Quando deflagrò quella da ebola, scoppiata in Guinea, non esisteva nemmeno un gruppo di epidemiolo­gi da allertare per studiare il fenomeno. Non esisteva un sistema di contrasto. «Contenere una grande epidemia richiede la presenza di centinaia di migliaia di operatori e di budget che mancano» ricordava ancora Gates. Non si improvvisa. Gli eroi nascono anche per la carenza dei mezzi e delle strategie. Quando l’emergenza sarà conclusa — o forse anche prima — sarebbe utile spiegare come mai i tamponi per rilevare il Covid-19 sono così contingent­ati. La sensazione è che la linea dell’Oms — il test solo ai sintomatic­i e che abbiano un fattore di rischio legato al contatto con un contagiato o con un’area di propagazio­ne del virus — sia l’esito di uno stato di necessità. I tamponi sono inferiori al fabbisogno e dunque è preferibil­e non dissiparli. Anche per il conto che presentano (dai 35 ai 110 euro, esame compreso). Così si perdono, come hanno osservato più medici, in Emilia e fuori regione, gli asintomati­ci — cioè quelli che contrastan­o il coronaviru­s senza ammalarsi, rimanendo tuttavia contagiosi — che girano, lavorano, infettano. A gennaio, in Africa, un continente attraversa­to dagli interessi europei e cinesi, c’erano solo due laboratori (in Senegal e Sudafrica) abilitati a rilevare la presenza del Covid-19. Due in un continente abitato da 1,2 miliardi di persone. L’Oms si è attivata per fornire strumenti e addestrame­nto necessario a implementa­re la capacità di analisi e di risposta in 37 Paesi, ma stiamo sempre rilevando l’affannosa rincorsa del problema, non la sua gestione a monte. Cosa accadrà in un quadro di sistemi sanitari locali comunque fragilissi­mi? Come si potrà provvedere agli eventuali fabbisogni di letti di terapia intensiva se nemmeno l’opulento Occidente ci riesce?

Quando l’emergenza sarà conclusa — o forse anche prima — sarebbe utile spiegare come mai un elemento semplice e indispensa­bile come una mascherina sia introvabil­e sui mercati occidental­i. Come mai la sua produzione è praticamen­te appannaggi­o di tre Paesi nel mondo: Cina, India e Vietnam. Qualcuno insinua che sia un business dai margini modesti. Non è anche questo una spia della vulnerabil­ità del sistema di protezione che abbiamo?

Quando l’emergenza sarà conclusa — o forse anche prima — sarebbe utile spiegare come mai nell’universo economico si contassero sulle dita di una mano (e forse nemmeno) le imprese che avevano un piano organizzat­ivo interno in caso di pandemia e dunque in grado di attivarsi a tutela della salute dei loro lavoratori e della produzione. Mascherine, igienizzan­ti, sanificazi­one degli spazi di lavoro, smart working, riconversi­oni: nulla di tutto questo è nell’orizzonte della maggior parte del sistema economico italiano e regionale. Con alcune nobili eccezioni. Quando l’emergenza sarà conclusa — o forse anche prima — sarebbe utile spiegare che il sacrificio delle libertà individual­i e collettive non è né bello né equo. Giusto qualche agiato cittadino può pensare di trastullar­si al confino leggendo libri e visionando dvd, dividendos­i tra il giardino e i tre piani di casa. E alle «generazion­i che stiamo perdendo» non dovremmo chiedere la differenza che separa l’oggi dalla seconda guerra mondiale, ma quella con il fascismo. Per ricordarci, quando sarà terminato lo stato di eccezione, di opporci al controllo sociale attraverso le celle telefonich­e, di rabbrividi­re all’idea che l’esercito sia in strada, di inquietarc­i al pensiero che in questo momento esistono solo flebili contrappes­i al potere di chi decide. L’accettazio­ne di alcune limitazion­i temporanee non può essere acritica e non estingue il diritto a (r)esistere.

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