DOMANDE PER IL DOPO
Quando l’emergenza sarà conclusa —o forse anche prima — sarebbe utile spiegare come mai nel mondo, negli Stati e tra le Organizzazioni sovranazionali sia assente un piano strategico serio di contenimento delle epidemie da virus. Bill Gates lo aveva ricordato in un Tedx di cinque anni fa: «Oggi la più grande catastrofe globale che può accadere non è una guerra nucleare. Se qualcosa potrà uccidere più di dieci milioni di persone questo sarà un virus contagioso».
Abbiamo investito tantissimo in deterrenti nucleari e pochissimo nella creazione di un sistema che fermi l’epidemia». Quando deflagrò quella da ebola, scoppiata in Guinea, non esisteva nemmeno un gruppo di epidemiologi da allertare per studiare il fenomeno. Non esisteva un sistema di contrasto. «Contenere una grande epidemia richiede la presenza di centinaia di migliaia di operatori e di budget che mancano» ricordava ancora Gates. Non si improvvisa. Gli eroi nascono anche per la carenza dei mezzi e delle strategie. Quando l’emergenza sarà conclusa — o forse anche prima — sarebbe utile spiegare come mai i tamponi per rilevare il Covid-19 sono così contingentati. La sensazione è che la linea dell’Oms — il test solo ai sintomatici e che abbiano un fattore di rischio legato al contatto con un contagiato o con un’area di propagazione del virus — sia l’esito di uno stato di necessità. I tamponi sono inferiori al fabbisogno e dunque è preferibile non dissiparli. Anche per il conto che presentano (dai 35 ai 110 euro, esame compreso). Così si perdono, come hanno osservato più medici, in Emilia e fuori regione, gli asintomatici — cioè quelli che contrastano il coronavirus senza ammalarsi, rimanendo tuttavia contagiosi — che girano, lavorano, infettano. A gennaio, in Africa, un continente attraversato dagli interessi europei e cinesi, c’erano solo due laboratori (in Senegal e Sudafrica) abilitati a rilevare la presenza del Covid-19. Due in un continente abitato da 1,2 miliardi di persone. L’Oms si è attivata per fornire strumenti e addestramento necessario a implementare la capacità di analisi e di risposta in 37 Paesi, ma stiamo sempre rilevando l’affannosa rincorsa del problema, non la sua gestione a monte. Cosa accadrà in un quadro di sistemi sanitari locali comunque fragilissimi? Come si potrà provvedere agli eventuali fabbisogni di letti di terapia intensiva se nemmeno l’opulento Occidente ci riesce?
Quando l’emergenza sarà conclusa — o forse anche prima — sarebbe utile spiegare come mai un elemento semplice e indispensabile come una mascherina sia introvabile sui mercati occidentali. Come mai la sua produzione è praticamente appannaggio di tre Paesi nel mondo: Cina, India e Vietnam. Qualcuno insinua che sia un business dai margini modesti. Non è anche questo una spia della vulnerabilità del sistema di protezione che abbiamo?
Quando l’emergenza sarà conclusa — o forse anche prima — sarebbe utile spiegare come mai nell’universo economico si contassero sulle dita di una mano (e forse nemmeno) le imprese che avevano un piano organizzativo interno in caso di pandemia e dunque in grado di attivarsi a tutela della salute dei loro lavoratori e della produzione. Mascherine, igienizzanti, sanificazione degli spazi di lavoro, smart working, riconversioni: nulla di tutto questo è nell’orizzonte della maggior parte del sistema economico italiano e regionale. Con alcune nobili eccezioni. Quando l’emergenza sarà conclusa — o forse anche prima — sarebbe utile spiegare che il sacrificio delle libertà individuali e collettive non è né bello né equo. Giusto qualche agiato cittadino può pensare di trastullarsi al confino leggendo libri e visionando dvd, dividendosi tra il giardino e i tre piani di casa. E alle «generazioni che stiamo perdendo» non dovremmo chiedere la differenza che separa l’oggi dalla seconda guerra mondiale, ma quella con il fascismo. Per ricordarci, quando sarà terminato lo stato di eccezione, di opporci al controllo sociale attraverso le celle telefoniche, di rabbrividire all’idea che l’esercito sia in strada, di inquietarci al pensiero che in questo momento esistono solo flebili contrappesi al potere di chi decide. L’accettazione di alcune limitazioni temporanee non può essere acritica e non estingue il diritto a (r)esistere.