IL LAVORO DA CASA
Da inizio marzo, c’è l’8,5% della popolazione che scorrazza nelle nostre case: sono gli oltre 5,5 milioni di bimbi fino a dieci anni che reclamano cura e attenzione e che continueranno a farlo fino al termine dell’anno scolastico. Le famiglie con nonni e nonne nei paraggi non possono affidarglieli. Quelle benestanti non possono contare sulle babysitter. In tutte le famiglie, gli adulti devono ripensare i ruoli domestici e gestire la prole 7 giorni su 7, 24 ore su 24.
Per quelle monogenitoriali, l’impegno è doppio. Per quelle con persone anziane in casa l’attenzione per il rischio contagio è massima. E per quelle con teenager nel pieno dello sviluppo adolescenziale o sul «limitar di gioventù», ci sono le bizze dell’età della transizione. Fino ad ora, questi aspetti sono stati ignorati nel calcolo delle ricadute sociali del Coronavirus. Chi deve intervenire a sostegno di lavoro e imprese, però, li deve considerare, per non fare la figura di chi «non vede la foresta per colpa degli alberi». Prendiamo lo smartworking: per usarlo, non basta che le persone abbiano discrete competenze digitali, abitino in zone con connessione a Internet veloce e stabile, e siano state dotate degli strumenti per il lavoro da remoto. La prestazione professionale di chi lavora da casa dipende pure da spazio e tempo. La trasformazione delle mura domestiche in luogo di lavoro non è né immediata, né alla portata di tutti. A casa le persone sono inserite in un ambiente progettato per altri scopi. C’è poi un aspetto ancora taciuto: quando si interagisce in videochiamata con colleghi, fornitori e clienti, stakeholder o studenti è come far entrare tutti a casa propria. Come se ne esce? Le organizzazioni che ricorrono allo smartworking mettano subito a disposizione un supporto qualificato di interior design per adattare «quanto basta» gli ambienti di casa per lavorare in modo salubre e dignitoso. Poi c’è la questione del tempo. Tra chi fa smartworking non sono poche le persone che si troveranno nella situazione di non poter lavorare negli orari canonici, vuoi perché gli spazi domestici sono destinati ad altri usi, vuoi perché devono dedicare tempo ad attività di assistenza. È pertanto velleitario pensare che non ci sia una caduta della performance in queste situazioni. Come se ne esce? Riprogettando gli orari di lavoro in termini sia verticali (orario di inizio, pause, fine) sia orizzontali (giorni di lavoro e di riposo), avendo contezza delle esigenze di ogni smartworker; mettere a disposizione un supporto per aiutare le persone a gestire la commistione tra tempo per la famiglia e tempo per il lavoro. Sono queste le imprese resilienti.