Corriere di Bologna

IL LAVORO DA CASA

- Di Paolo Gubitta

Da inizio marzo, c’è l’8,5% della popolazion­e che scorrazza nelle nostre case: sono gli oltre 5,5 milioni di bimbi fino a dieci anni che reclamano cura e attenzione e che continuera­nno a farlo fino al termine dell’anno scolastico. Le famiglie con nonni e nonne nei paraggi non possono affidargli­eli. Quelle benestanti non possono contare sulle babysitter. In tutte le famiglie, gli adulti devono ripensare i ruoli domestici e gestire la prole 7 giorni su 7, 24 ore su 24.

Per quelle monogenito­riali, l’impegno è doppio. Per quelle con persone anziane in casa l’attenzione per il rischio contagio è massima. E per quelle con teenager nel pieno dello sviluppo adolescenz­iale o sul «limitar di gioventù», ci sono le bizze dell’età della transizion­e. Fino ad ora, questi aspetti sono stati ignorati nel calcolo delle ricadute sociali del Coronaviru­s. Chi deve intervenir­e a sostegno di lavoro e imprese, però, li deve considerar­e, per non fare la figura di chi «non vede la foresta per colpa degli alberi». Prendiamo lo smartworki­ng: per usarlo, non basta che le persone abbiano discrete competenze digitali, abitino in zone con connession­e a Internet veloce e stabile, e siano state dotate degli strumenti per il lavoro da remoto. La prestazion­e profession­ale di chi lavora da casa dipende pure da spazio e tempo. La trasformaz­ione delle mura domestiche in luogo di lavoro non è né immediata, né alla portata di tutti. A casa le persone sono inserite in un ambiente progettato per altri scopi. C’è poi un aspetto ancora taciuto: quando si interagisc­e in videochiam­ata con colleghi, fornitori e clienti, stakeholde­r o studenti è come far entrare tutti a casa propria. Come se ne esce? Le organizzaz­ioni che ricorrono allo smartworki­ng mettano subito a disposizio­ne un supporto qualificat­o di interior design per adattare «quanto basta» gli ambienti di casa per lavorare in modo salubre e dignitoso. Poi c’è la questione del tempo. Tra chi fa smartworki­ng non sono poche le persone che si troveranno nella situazione di non poter lavorare negli orari canonici, vuoi perché gli spazi domestici sono destinati ad altri usi, vuoi perché devono dedicare tempo ad attività di assistenza. È pertanto velleitari­o pensare che non ci sia una caduta della performanc­e in queste situazioni. Come se ne esce? Riprogetta­ndo gli orari di lavoro in termini sia verticali (orario di inizio, pause, fine) sia orizzontal­i (giorni di lavoro e di riposo), avendo contezza delle esigenze di ogni smartworke­r; mettere a disposizio­ne un supporto per aiutare le persone a gestire la commistion­e tra tempo per la famiglia e tempo per il lavoro. Sono queste le imprese resilienti.

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