Cremonini e il compleanno speciale (in casa)
Cremonini festeggia i 40 anni tra musica, amore e un pensiero a chi è in corsia
Non immaginava certo di festeggiarli così i suoi 40 anni: chiuso in casa con Martina e brindando con gli amici sul web . Ma per Cremonini quello di domani sarà lo stesso un compleanno «speciale».
Sono giorni bislacchi e bui, ma ad accenderne qualche attimo a casa Cremonini domani ci saranno 40 candeline. Resterà un compleanno memorabile, a prescindere. Concorda, Cesare?
«Sicuramente indimenticabile. Voglio dare un senso più profondo a questo compleanno. I 40 hanno già un significato nella vita delle persone, ma questi ancora di più. Non mi sarei mai aspettato di festeggiarli così, in maniera più raccolta, in casa, con la mia fidanzata. Ma oggi, seguire le regole che ci sono state date è anche un modo di far bene agli altri. Non ho nessuna nostalgia della festa di compleanno che avevo sognato. Ci sarà tempo e spero modo per festeggiarlo come si deve».
Per domani?
«Ho organizzato una videochat con una cinquantina di persone per fare un brindisi di gruppo via web. Il coronavirus una cosa ce l’ha insegnata: cercare di arrangiarci con la tecnologia per mandare avanti le nostre vite».
Che regalo le piacerebbe ricevere?
«Diciamo che il regalo più bello l’ho già ricevuto: vedere la mia ragazza che in questa situazione si è data da fare assieme a me per andare avanti e per gestire la vita in casa, un’abitudine sconosciuta prima... la vita domestica non ha mai fatto tanto per me. Invece ora sono in casa con un amore, e questo è il regalo migliore che potessi ricevere, anche alla luce del fatto che tanti sono rimasti in casa forzatamente da soli».
Che musica hanno queste giornate?
«Ho messo in pausa le cose più nuove perché ho avuto la sensazione che il futuro stesse arrivando da una direzione diversa da quella che immaginavamo. Quindi ho tirato fuori dischi che sono per me beni di rifugio come quelli di Mina e Gino Paoli. Pensa al valore che una canzone come Il Cielo in una stanza può assumere oggi. Credo che la riscoperta di antiche melodie possa essere una buona compagna di viaggio in questo momento di passaggio. Poi sto riascoltando me. Il virus ci ha messo davanti allo specchio, stiamo rimbalzando di muro in muro dentro la nostra casa. E ho fatto ordine su quello che avevo fatto, riascoltandomi».
Cos’ha ritrovato, in quell’ordine?
«Che sono stato perennemente in corsa e che tutto quello che ho fatto nella vita è cercare di costruire per arrivare a oggi. E quest’anno, nel 2020, avrei fatto il tour più grande della mia carriera. Di fronte a quest’esperienza traumatica che stiamo vivendo però dobbiamo saperci reinventare. Se venisse deciso che il tour non si dovesse fare, credo sarebbe inutile versarvi lacrime. Oggi l’egoismo delle proprie ambizioni non vale niente rispetto al presente di questo Paese. Nasceranno nuove idee e possibilità. Il mondo cambierà. E la musica lo seguirà».
Le date importanti, quelle segnate con il cerchietto rosso, come il concerto del 18 luglio all’Autodromo di Imola, o il 21 giugno, l’inizio del tour, restano in agenda?
«Nessuno può dire prima dello Stato che i concerti non si faranno. In questo momento però credo che sia più importante pensare all’industria musicale e al peso che ha sul territorio. Nel caso in cui, come probabile, il tour non ci sarà bisogna pensare a che cosa fare per tenere insieme i pezzi del sistema».
E ci sta pensando?
«Sì. Nei giorni scorsi, avevo lanciato un abbraccio sorridente verso gli amici ristoratori bolognesi — da Oscar del ristorante Alice, a Vincenzo Vottero fino a Carboni dell’Acqua Pazza — e che fanno una vita simile a quella nostra di musicisti. Ecco, penso che quando usciremo da questa situazione dovremo allungare la nostra mano verso l’altro. Dobbiamo farlo come comunità. Ci sarà da riscoprire una grande voglia di aiutarsi».
C’è una sua canzone che le sembra possa vestirsi di nuovi significati alla luce di quello che sta accadendo?
«La canzone che ho riascoltato di più in questi giorni è stata Un giorno migliore.È
una canzone di speranza, non di illusione. Non è un’operazione di marketing, non è un “ce la faremo”, non è un hashtag. Ha assunto un significato più grande di quel che le davo io. E poi Poetica. Ha nel suo finale “abbracciami”. Ora è presto per abbracciarci ma ci sarà un momento in cui potremo cantarlo a squarciagola facendolo sul serio».
Bologna in questi giorni è deserta e sola. Sembra un’altra. Ha un messaggio da recapitare alla sua vecchia città?
«Il coraggio che mostreremo come comunità nel rialzarci dovrà essere di risposta a quello che medici e infermieri stanno dimostrando in corsia. Senza dimenticare anche le altre categorie, come gli operai e i giornalisti, tutte quelle persone che hanno dovuto lavorare in questi giorni».
Come procede l’asta per le luminarie?
«Bene. Si concluderà il 2 maggio. Si può contribuire anche con piccole donazioni slegate dall’asta ma sempre a sostegno della Fondazione Sant’Orsola (www.charitystars.com/PiuFortiInsieme). Ieri mattina sono andato in farmacia, in centro. E tornando indietro verso l’auto sono passato sotto alle luminarie. È stato un momento molto emozionante perché quattro mesi fa a Natale c’erano per via D’Azeglio migliaia di persone. Il contrasto è fortissimo. Però le luminarie sono ancora accese e colorano la città. Speriamo che quest’asta di beneficienza possa ancora illuminare il futuro di Bologna».
Intimità e riflessione Sono in casa con la mia ragazza: il regalo migliore che potessi ricevere Riprendo le canzoni di Mina e Paoli e poi riascolto i miei successi