La città si ferma per i suoi morti
Il suono delle campane e la preghiera del vescovo, del sindaco e dei leader delle altre religioni in piazza
Le campane, il minuto di silenzio, la preghiera di cristiani, islamici ed ebrei assieme e, prima ancora, la messa di Zuppi in Certosa. Così ieri Bologna ha commemorato i suoi morti.
Il cielo sopra Bologna è grigio. Sembra autunno, ed è primavera. Viale Gandhi è deserta nonostante siano le sette di mattina di un venerdì di marzo. Il silenzio che avvolge chi riposa alla Certosa amplifica il rumore dei passi del cardinale Matteo Zuppi, accolto dal cappellano della chiesa di San Gerolamo Mario Micucci insieme ad alcuni confratelli passionisti cui è affidata la cura della cappella nel cimitero cittadino. I cinque religiosi, attorno all’altare, mantengono le distanze imposte dalla pandemia. Uno smartphone invia su YouTube la celebrazione in suffragio dei morti del coronavirus, ma anche di tutti coloro che hanno perso la vita per altre cause e che non hanno potuto ricevere un ultimo saluto, il funerale che avrebbero meritato.
«In queste interminabili settimane ci siamo scontrati con il limite della vita, con la fragilità, la sofferenza, l’isolamento, la morte», esordisce il cardinale nella sua omelia. Ma noi, scandisce, «non possiamo accettare che la persona diventi un numero». «Se il male vuol rendere ogni morto un numero, l’amore fa il contrario», rivendica Zuppi: «Ecco perché siamo qui. Per ricordarli, uno per uno. Pronunceremo alcuni nomi, altri li portiamo scritti nel nostro cuore, scolpiti nella nostra vita perché quando si ama non si cancellano». La pietas, scomparsa in quella che il cardinale definisce «contabilità funebre», si materializza nei nomi dei morti degli ultimi due giorni: «Albertino, Alessandro, Alfa, Amedeo». E poi «Giorgio, Giovanna, Giulia...». Tanti, troppi. Fuori dalla chiesa, tra i prati del cimitero, Zuppi rivolge una nuova preghiera per i defunti di fronte a croci e lapidi, mai così spoglie di fiori e omaggi dei loro cari. «La fede ci fa dire che Dio era con loro».
Qualche ora dopo, poco prima di mezzogiorno, l’omaggio alle vittime della pandemia si sposta in una piazza Maggiore deserta, dove cinque sagome rappresentano una città. Ai margini del Crescentone si riuniscono in un minuto di silenzio il sindaco Virginio Merola, il cardinale Matteo Zuppi, Alberto Sermoneta e Daniele De Paz della Comunità ebraica, Yassine Lafram per la Comunità islamica. I campanili delle chiese di Bologna suonano all’unisono. E con loro, per omaggiare le vittime bolognesi, si muove anche la campana dell’Arengo, il gigante di bronzo che guarda piazza Maggiore da Palazzo del Podestà. La città si ferma per ricordare i morti di una guerra che nessuno si aspettava sarebbe arrivata. «Siamo in piazza assieme per ricordare tutti quelli che non ce l’hanno fatta e per i quali non è stato possibile celebrare il funerale», dice il sindaco metropolitano Merola. Il rabbino Sermoneta annuisce. «Dio ha creato l’uomo senza distinzioni, tutti insieme dobbiamo aumentare le nostre preghiere e darci da fare tanto affinché passi questo momento oscuro». Zuppi coltiva la speranza: «Dalla pandemia bisogna arrivare all’esatto contrario, cioè a un pan-amore: qualcosa che unisca gli uomini per combattere chi vuole uccidere l’umanità». Lafram, che guida anche l’Ucoii nazionale, scuote la testa. «Vedere la città così deserta, così cupa, ci fa sempre rattristare. Speriamo davvero che Dio possa salvare tutti noi da questo male».
L’omelia di Zuppi
Se il male vuole rendere ogni morto un numero, l’amore fa il contrario