IL DESTINO DEI LIBRI
La domanda che si pongono tutti gli amanti dei libri è come cambierà la realtà delle librerie quando saremo usciti da questa emergenza. Secondo me, la crisi attuale confermerà una tendenza già in atto: le librerie in grado di stare sul mercato, e di starci bene, saranno come sempre quelle animate da librai consapevoli di essere operatori culturali, librerie che esprimono qualità, passione e motivazione, sia nel servizio al cliente sia nell’assortimento.
Credo che le librerie indipendenti saranno avvantaggiate rispetto a quelle di catena, dove da qualche tempo prevale la logica della grande distribuzione: standardizzazione dei comportamenti, centralizzazione degli acquisti, formazione spesso approssimativa o addirittura inesistente; a proposito di formazione, mi risulta che lo schema prevalente sia quello del più esperto che insegna al più giovane, il quale però spesso non possiede gli strumenti teorici per comprendere fino in fondo e fare propria l’operatività in cui si ritrova immerso. Nella formazione di un libraio teoria e pratica sono egualmente fondamentali, e complementari: solo con una, o solo con l’altra, non si va lontano. L’esperienza di James Daunt — geniale libraio indipendente che puntando sulla formazione e sulla personalizzazione degli assortimenti è riuscito a risanare il colosso Waterstones, nel Regno Unito — dimostra che librerie animate da veri librai e non da semplici venditori offrono un’esperienza d’acquisto imparagonabile a quella offerta dalle librerie standardizzate e dalle librerie online, anche dalle migliori. Non è un caso se il Regno Unito sia uno dei Paesi europei in cui si legge di più, insieme alla Germania, dove si diventa librai dopo un corso di due anni. In queste settimane di forzata clausura, le librerie online sono state preziose per noi lettori — anche per far sentire il nostro affetto a un amico con un piccolo dono — e continueranno a esserlo ancora per un po’: ma torneremo alla normalità, ci staccheremo da tv, telefonini e iPad che per il momento usiamo come ciambelle di salvataggio e al tempo stesso come strumenti per rimanere collegati al mondo da cui siamo tagliati fuori. E ritroveremo la gioia di interagire con le persone in carne e ossa e quella di vivere gli spazi della città: tornare in libreria è uno dei piaceri che tanti già pregustano. Ho scoperto con immensa soddisfazione che molti librai indipendenti riescono, nonostante l’emergenza, a tenere vivo il legame con i clienti: ricevono gli ordini via mail, telefono o WhatsApp e poi li affidano ai rider che li consegnano in giro per la città. Una forma di resistenza civile che mi entusiasma e che mi fa desiderare di essere ancora un libraio in prima linea! Mi risulta che tra questi irriducibili ci siano diversi allievi della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri, librai curiosi e appassionati che frequentano i nostri corsi perché vogliono sapere, studiare, confrontarsi, consapevoli del fatto che vendere libri non è come vendere un altro prodotto e che il mestiere di libraio presuppone una teoria di cui è sbagliato pensare di poter fare a meno. Qualità del servizio, fantasia e intelligenza nel creare proposte di lettura, capacità di entrare nel tessuto cittadino e abilità nel creare spazi accoglienti che invoglino i clienti a fermarsi a leggere un libro (spargere poltrone non basta) saranno armi vincenti per le librerie, che da questa emergenza sanitaria usciranno provate — come tutti — ma con la possibilità di soddisfare un desiderio più potente che mai di bellezza, di sapere, di benessere, di appartenenza. I librai che hanno curato la propria formazione frequentando dei corsi, e che dunque sono consapevoli del valore delle piccole cose, hanno al proprio arco tutte le frecce per riuscirci. Infine, considerato che la libreria è un luogo privato aperto al pubblico, mi piace immaginare che — senza bisogno di avere al proprio interno un caffè — le librerie indipendenti potranno festeggiare il ritorno alla normalità brindando con i loro clienti.