«Io, medico, ammalata Ecco la mia odissea»
Ha inviato al ministro Speranza una lettera aperta per raccontare la sua odissea tra «difficoltà e inadeguatezze» di dottoressa (è neurologa del Bellaria), infetta dal virus.
Sette giorni a casa con febbre alta e altri sintomi, la richiesta fatta più volte di un tampone e che, una volta fatto, si perde, e alla fine il ricovero per cinque giorni in ospedale. È l’odissea raccontata in una lettera da Laura Licchetta, neurologa del Bellaria (reparto chiuso come altri per aprire un Covid Hospital) e contagiata dal coronavirus. Lettera inviata al ministro della Salute Roberto Speranza, oltre che al governatore Bonaccini e ai responsabili della sanità regionale e locale, per denunciare «l’inadeguatezza della gestione del rischio professionale per gli operatori sanitari, le incongruenze dei protocolli adottati e, cosa più importante, la difficoltà del malato Covid-19 ad accedere alle strutture sanitarie per ricevere un’adeguata assistenza».
Licchetta racconta l’insorgenza nella notte tra l’11 e 12 marzo di «febbre oltre 38°C, cefalea, forti artralgie e mialgie», il sospetto del contagio non avessi avuto contatti diretti con quei pazienti», le telefonate alla Medicina del lavoro e l’Ufficio Igiene per eseguire un tampone, ma senza successo. «La Medicina del lavoro — scrive la neurologa — non ha ritenuto necessario fare il tampone e mi è stato detto di non adottare nessuna misura cautelativa; non avendo sintomi respiratori avrei dovuto trattare la malattia come una normale influenza e, non appena passata la febbre, rientrare in servizio». Pronta la replica del responsabile della Medicina del lavoro, Francesco Violante. «Non dovrebbe sfuggire a nessuno, e tantomeno ai medici, che in una situazione di risorse carenti si devono adottare scelte operative tese ad indirizzare quanto è disponibile dove è più necessario. Se avessimo a disposizione illimitata capacità di fare analisi della presenza di Sars-CoV-2 negli operatori sanitari, avremmo senz’altro sottoposto a test tutti gli operatori sanitari, e più volte». Inoltre è previsto che gli operatori sanitari con sintomi «rimangano a casa per non meno di due settimane» e ritornare al lavoro «solo dopo due tamponi negativi». Fatto sta che dopo alcuni giorni di febbre alta, durante i quali le viene fatto un tampone e in cui anche il compagno comincia a stare male, la neurologa pretende di essere portata al Ps dove una Tac rivela la polmonite che porta al ricovero.