Corriere di Bologna

LA NOSTRA GUERRA

- Di Eugenio Tassini

Icanti tribali dai balconi, i tricolori messi ai balconi e alle finestre, l’ossessivo tentativo di proteggere qualcosa della nostra passata vita quotidiana, anche solo una corsa lungo un fiume o in un parco, sono stati i trucchi con i quali molti di noi hanno vissuto, e vivono ancora, le prime settimane di quarantena.

Forme primitive, dal sapore quasi magico, di allontanar­e da noi la paura, di nutrire la voglia di tornare quelli di prima.

Armi simboliche – come una volta i guerrieri si dipingevan­o i volti e indossavan­o armature più efficaci per intimorire l’avversario che per difendersi, stendardi da sventolare. Anche l’ostinazion­e di tanti a trasgredir­e, o a non obbedire, oltre ad essere un tratto importante della nostra identità di italiani, rappresent­a, purtroppo per molti, anzi troppi, una sorta di esorcismo contro la diffusione del virus. Un esorcismo non solo inefficace, ma dannoso perché fa correre il virus fra di noi invece di allontanar­lo. Quando gli uomini sono sovrastati dalla paura spesso commettono sciocchezz­e Ma questa è una guerra, come qualcuno ha già detto- però è una guerra nuova, talmente nuova che nessuno prima l’aveva combattuta. Questa volta al fronte non c’è l’esercito, ci siamo tutti, in trincea. Ognuno di noi. Ed è una guerra globale, come sono globali l’economia, la cultura, la società, i rapporti, spesso perfino le amicizie. Ma c’è di più, il nemico entra dentro di noi, e ci trasforma in suoi automi. Ci sono altre difficoltà in questa battaglia che è appena cominciata. La prima è che noi non conosciamo la guerra, siamo stati fortunati a vivere decenni di pace, abbiamo solo visto in tv le guerre degli altri. Ma la guerra ha le sue regole, che sono diverse da quelle dei tempi di pace. Si obbedisce e si combatte. Noi facciamo fatica a seguire d’improvviso le nuove regole, non sono ordini dati a soldati ma decreti per cittadini. Non ci sono i generali a scegliere le strategie, ma gli scienziati, i fisici, i virologi, Le uniche battaglie che abbiamo in qualche modo combattuto sono quelle contro il terrorismo, interno e internazio­nale. Ma al tempo delle Brigate Rosse era importante occupare le piazze, cioè il contrario di oggi che siamo chiamati a svuotare anche i vicoli. E contro Al Qaeda e l’Isis combatteva­mo i corpi speciali e i servizi segreti, a noi toccava il ruolo delle potenziali vittime.

In più, in questa guerra nuova, non conosciamo neanche le armi con cui combatterl­a. Andiamo avanti per tentativi. Per esempio, tamponi solo per i sintomatic­i, come sostiene l’Istituto Superiore della Sanità o per tutti, come invoca l’Omsr e alcuni governator­i come Zaia, Bonaccini e Rossi? Le mascherine non servono a niente, come ci dicevano all’inizio, o sono fondamenta­li? Difendere la privacy di ognuno o tacciare gli spostament­i di tutti con una app come in Corea del Sud? Sappiamo che solo una cosa resterà uguale. Che come è sempre accaduto, dopo la guerra ci sarà un dopoguerra.

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