Bologna è già partita, 90mila lavoratori in cassa integrazione
La Prefettura ha già accolto quasi mille domande. Oltre 2mila aziende hanno chiesto sostegno Sono 2700 (10mila in regione) gli imprenditori che hanno chiesto di restare aperti
Oltre 2.000 accordi di cassa integrazione siglati e già operativi per circa 90 mila lavoratori e ben 2700 richieste di deroga al fermo produttivo arrivate negli uffici della prefettura. E questi sono solo i dati di Bologna e provincia, perché in tutta l’Emilia-Romagna, mentre si è in attesa di conteggiare tutti gli ammortizzatori sociali concessi, le domande per rientrare in extremis nell’elenco delle aziende che possono lavorare sono quasi 10 mila.
Oltre 2.000 accordi di cassa integrazione siglati e già operativi per circa 90mila lavoratori e ben 2700 richieste di deroga al fermo produttivo arrivate negli uffici della prefettura.
E questi sono solo i dati di Bologna e provincia, perché in tutta l’Emilia-Romagna, mentre si è in attesa di conteggiare tutti gli ammortizzatori sociali concessi dall’inizio dell’emergenza sanitaria e soprattutto del lockdown, le domande per rientrare in extremis nell’elenco delle aziende che possono lavorare sono quasi 10mila.
Dopo il decreto «Chiudi Italia» firmato lo scorso 21 marzo, in questi giorni di serrata obbligata sono due le grandi questioni su cui si trovano — fra mille telefonate, conference call e controlli sul posto tramite le proprie rls (i rappresentanti dei lavoratori sulla sicurezza) — a vigilare i sindacati: le richieste di accesso alla cassa integrazione e quelle per potere avere un’eccezione allo stop; se non per tutta l’azienda, spesso almeno per qualche linea produttiva delle filiere collegate ai servizi essenziali. Agroalimentare, chimica e medicale, su tutti. Anche per questo la prefettura di Bologna, che stamattina farà il punto delle istanze accolte e rifiutate, ha messo immediatamente al lavoro una task force, costituita da Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco e Ispettorato del Lavoro, per vigilare sull’ammissibilità dei codici Ateco, quelli che cioè indicano le produzioni realizzate.
«Il nostro obiettivo è uno solo — chiarisce il numero uno della Camera del Lavoro, Maurizio Lunghi —: garantire il rispetto del protocollo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e ridurre il più possibile la presenza dei lavoratori in azienda per limitare le possibilità sera.
In attesa della ripartenza, che sia la Cisl sia la Cgil vendono parecchio difficoltosa («il ricorso agli ammortizzatori triplicherà rispetto ai numeri già enormi di febbraio», dice Lunghi; «Quando ripartiremo, al massacro di vite umane si unirà quello del lavoro», rinforza Francesconi), la valanga di istanze di deroga è comune da Piacenza a Rimini. «In regione sono arrivate richieste da quasi 10.000 aziende — rivela il segretario generale della Cgil Emilia-Romagna, Luigi Giove —. Non tutte le prefetture hanno avviato tavoli di monitoraggio con le organizzazioni sindacali: chiediamo che ciò avvenga in tempi rapidi. In ogni caso, in ogni luogo di lavoro devono essere assicurate le condizioni di sicurezza».
Quanto alle tempistiche per la ripartenza, anche i sindacati sembrano confermare le previsioni del presidente di Confindustria Emilia Valter Caiumi. «La riapertura potrebbe essere il 14 aprile –— aveva detto Caiumi parlando al Corriere di Bologna —. A ripartire dovranno essere solo le imprese che garantiranno la piena sicurezza. Tutti dovremmo continuare a tutelarci con dispositivi di protezione individuale per tutto il 2020 se necessario».
«È ancora presto — ribadisce il segretario Uil, Giuliano Zignani —. Riaprire si potrà solo se sarà rispettato il protocollo sulla sicurezza e se ci saranno i controlli necessari e se ognuno farà la sua parte». Il riferimento di Zignani è rivolto a quella parte di aziende, «non le più importanti, che pensano di poter lavorare facendo i furbetti. Il problema non è far lavorare le persone, ma garantire la salute di tutti».
” La Cgil In ogni caso, in ogni luogo di lavoro devono essere assicurate le condizioni di sicurezza
La Uil Il problema non è far lavorare le persone, ma garantire la salute di tutti