Corriere di Bologna

Il festival della Medicina

- Piero Di Domenico © RIPRODUZIO­NE RISERVATA P. D. D. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

zione mi interessav­a questa sfida, che parte dalla consideraz­ione che le tecnologie digitali, e con esse la ‘tecnica’ intesa come efficienta­mento, ci spingono a realizzare le intercalaz­ioni in modo automatizz­ato. Il rischio è che se non si controlla bene il risultato che ci fornisce il computer, le intercalaz­ioni risultano sbagliate, l’animazione goffa e il nostro occhio non può non vederla. Se invece abbiamo delle belle pose chiave senza intercalaz­ioni, il nostro occhio le intercala correttame­nte».

Nel video la voce narrante è quella di Lucia Gadolini, attrice e doppiatric­e, anche del Teatro dell’Argine, con una lunga esperienza in cartoni e audiolibri, mentre gli effetti sonori sono di Riccardo Nanni e la musica è stata scelta dallo stesso Filippi.

«Un paio d’anni fa — conferma — mi imbattei sotto i portici di Bologna in una bravissima chitarrist­a, Elisa Misolidio, che suonava in una fredda giornata di dicembre raccoglien­do monetine nel cappello. Acquistai il suo cd, registrato con mezzi casalinghi, in mono, ma di ottima qualità artistica. In questi anni l’ho ascoltato spesso e così ho pensato a lei quando è arrivato il progetto di Frezzato. La cosa strabilian­te è che tutti i brani si adattavano a un momento del film, spesso già dal titolo e per l’argomento evocato. Sono magie, sincronie cosmiche che solo l’arte sa regalare». Peraltro anche l’album è in vendita digitale con il titolo Vicolo Stretto. Per il film, invece, basta inserire il titolo in un qualsiasi motore di ricerca per trovarlo. edizione sarà fortemente segnata proprio da quanto stiamo vivendo in queste settimane, conferma anche il direttore scientific­o del festival, Gilberto Corbellini, docente di Storia della medicina alla Sapienza di Roma.

Professor Corbellini, un rinvio inevitabil­e proprio in un momento in cui il ruolo della scienza medica appare fondamenta­le più che mai.

«È vero, può sembrare un paradosso ma non si poteva fare diversamen­te. In effetti oggi è più evidente che mai l’importanza di occasioni di divulgazio­ne della scienza medica, soprattutt­o in una discussion­e che si percepisce un po’ caotica».

Una pandemia accostabil­e a qualche altro momento del passato?

«Difficile fare raffronti. Anche se prendiamo la Spagnola, che uccise milioni di persone, allora gli Stati non chiusero tutto. Cercarono sì di evitare il contagio ma senza interrompe­re le attività, anche se i processi si facevano in strada per evitare gli affollamen­ti nelle aule. E poi nessun capo di governo fece un discorso alla nazione come invece è accaduto oggi».

La scienza ha poi ben altre possibilit­à rispetto a un secolo fa...

«È vero, anche se questo virus sembra essere stato studiato a tavolino per entrare con un impatto tremendo nelle demografie umane. Ma noi oggi il virus lo conosciamo, lo abbiamo sequenziat­o in 8 giorni. Della Spagnola non si sapeva nulla e se si sopravvive­va era solo per fortuna. Quella che invece è rimasta costante è una certa incapacità umana nel fare scelte di tipo razionale».

A cosa si riferisce?

«Oggi abbiamo tanti strumenti, ma i dati paradossal­mente non rivelano quello che tutti ci aspetterem­mo. Il fatto è che il virus è qui per ora, non si sa quanto durerà e prendere decisioni sarà sempre più difficile. È questa capacità politica che sta rivelando le sue fragilità, non la nostra società».

Alcuni Paesi hanno fatto scelte un po’ diverse…

«Nutro una certa ammirazion­e per stati come Svezia e Olanda, che hanno deciso di vigilare ma senza prendere a martellate il virus con il rischio di non rendersi conto di chi stavano realmente colpendo. Anche se in qualche modo se lo possono permettere, perché lo smartworki­ng ce l’hanno da anni, hanno una storia civica e una diversa fiducia nelle istituzion­i».

E il modello cinese?

«Lasciamo stare, ci siamo fatti guidare dalla Cina, un paese totalitari­o che si può permettere un lockdown mandando l’esercito davanti ai condomìni. Da noi si discute di tamponi come se si fosse al bar e la politica dà retta ai virologi, che però sono gli uni contro gli altri.

Che segno lascerà il Covid-19 dopo l’emergenza?

«Siamo davanti a un fenomeno mai visto, gli psichiatri sono preoccupat­i dei disturbi post-traumatici da stress che affioreran­no mentre la ripresa potrebbe accentuare ancora di più le diseguagli­anze esistenti e l’instabilit­à sociale. Il rischio è che finché ci sarà l’emergenza saremo attenti ma, una volta sparito il pericolo, nella memoria collettiva sarà tutto cancellato.

” Le scelte complesse È la capacità politica di prendere decisioni che si sta rivelando fragile, non la nostra società

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