I progetti futuri del Teatro delle Ariette
La compagnia in Valsamoggia: «Curiamo il futuro»
«Siamo accanto al camino, nella nostra cucina. Stiamo scrivendo la scheda tecnica dell’ultimo spettacolo, Trent’anni di grano, per la nostra distributrice francese, per una prossima tournée. Stiamo traducendo il testo». Lo spettacolo del Teatro delle Ariette l’avevamo visto in autunno nel LabOratorio San Filippo Neri: il diario di un’estate scritto per Matera capitale, di frutti della campagna, di animali che muoiono o figliano, di amore che passati i 60 anni d’età non è ancora esaurito, di una giornata meravigliosa al mare, di strade intasate dal traffico delle ferie e di campi assolati, di ciuffi verdi di grano giovane che spunta in un terreno seccato dall’inverno incipiente…
Storie di vita, di meraviglie, di speranze, condite dal cibo preparato per 30-40 spettatori seduti a tavolini, mentre le Ariette raccontano, come in un antico rito conviviale. Luce del ricordo, in questi giorni difficili. Stefano Pasquini continua a dirci cosa stanno facendo ora le Ariette, mentre Paola Berselli la immaginiamo al suo fianco, con la chioma rosso fuoco e lo sguardo dolcemente impertinente. «Oggi stiamo lavorando in casa. Ma noi siamo fortunati, viviamo in campagna, in Valsamoggia, nel podere sul Rio Mondatore. L’aria non ci manca. Domenica, dopo aver messo a posto le cose dell’ufficio e dell’archivio, abbiamo accatastato la legna, potato le siepi, tagliato l’erba del giardino… siamo andati avanti fino a che non è diventato buio». Poi continua: «Con le tournée teatrali queste attività le avremmo confinate nei ritagli di tempo. Se andassimo avanti così le Ariette sarebbero a posto dal punto di vista agricolo-ambientale; sarebbero belle e ordinate come non sono mai state da quando facciamo teatro».
Avevano iniziato a Bologna negli anni ’80. Poi fuggirono in una proprietà del padre di Stefano, abbandonando la scena negli anni del riflusso. Ripresero «il vizietto» nel 2000 con Teatro da mangiare?, uno spettacolo di lancinanti memorie attorno a un tavolo. E da allora non si sono
” Stili di vita Questa crisi ha mostrato tutti i limiti delle concentrazioni urbane e della loro esistenza
mai fermate. Hanno costruito intorno a sé una piccola società, con laboratori e spettacoli collettivi. «Per ora le attività le abbiamo sospese tutte. Abbiamo annullato Pane e petrolio con Gigio Dadina delle Albe: dovevamo replicarlo in varie case del popolo in Romagna. Speriamo di riprenderlo. Il 5 aprile avremmo dovuto annunciare il nuovo lavoro del teatro di comunità, dedicato al Vangelo di San Matteo, Un Vangelo del mio tempo. Lo abbiamo sospeso e con le persone di tutte le età e provenienze che lavorano con noi manteniamo rapporti epistolari, niente videoconferenze. Il nostro teatro, la sala sul colle, è chiuso, sospeso in mezzo alla campagna piena di fiori. Noi ci lasciamo prendere dalle cose, dagli animali, dalla natura che si risveglia. A parte le tristi notizie di dolori e morti, il nostro tempo quotidiano si è disteso. Le idee lievitano: pensiamo a un progetto autobiografico sui muri di casa nostra, sulle storie che li hanno attraversati».
C’è struggimento e orgoglio nelle parole di Stefano: «Si dice che gli artisti lavorino sul limite. La prigionia può far scoprire la libertà. Chiusi qui, stiamo sicuramente meglio che in città. Questa crisi ha mostrato tutti i limiti delle concentrazioni urbane e della loro vita convulsa. Ora lasciamo che le cose vadano con un altro ritmo. Accogliamo questa pausa forzata come un’occasione per un rallentamento, per un ripensamento necessario. Certo, abbiamo troppe uova, non sappiamo che farcene. Ci manca la possibilità di condividere».