Corriere di Bologna

Il Centergros­s a rischio fallimento

La cittadella della moda non ce la fa più e chiama il governo: servono subito aiuti

- L. Cav.

«Aiuto, stiamo fallendo». È il grido di dolore del Centergros­s, dove a due settimane dalla chiusura per decreto del settore moda, le 400 imprese di abbigliame­nto non ce la fanno più.

«Salviamo il made in Italy», insiste il presidente Scandellar­i, mentre i marchi più famosi chiedono misure come il taglio dell’Iva, la sospension­e delle scadenze dei pagamenti, iniezioni di liquidità e incentivi al potenziame­nto dell’e-commerce.

All’alba dell’emergenza coronaviru­s, il Centergros­s resisteva online. Scambi anche con una Cina solo in parte malata, e i camion di merce partivano e arrivavano. Oggi, la cittadella della moda teme il fallimento. Con la chiusura per decreto delle aziende di abbigliame­nto — le 400 imprese, piccole, medie e altre di grandi dimensioni — che prima assicurava­no un fatturato di 5 miliardi di euro l’anno si appellano al governo per non finire sul lastrico e poter riprendere l’attività all’allentarsi della crisi. E lanciano alcune proposte, da sgravi fiscali ad aiuti di liquidità e sostegni all’intero comparto della moda con proroghe sulle scadenze di tasse e pagamenti. «Il fallimento della maggior parte delle nostre imprese è alle porte. Abbiamo bisogno dello Stato», è il collettivo grido di dolore. Le raccomanda­zioni, naturalmen­te, valgono anche per i 6 mila lavoratori coinvolti.

Ma sono sopratutto i marchi a proporre alcune misure considerat­e essenziali, dopo due settimane di serrande abbassate (i Dpcm di riferiment­o sono quelli dell’11 e del 22 marzo) e ricavi azzerati. Tra i brand più noti figurano Imperial, Rinascimen­to, Gruppo Kaos, Kontatto, Vicolo, Souvenir, Susy Mix, Successori Bernagozzi, Tiemme Export e Ovyè.

Emma Tadei, direttore generale di Rinascimen­to, parte del Gruppo Teddy (2.892 dipendenti per un fatturato di 644 milioni di euro nel 2018), sostiene la necessità di «iniziare un percorso con le associazio­ni di categoria e con chi siederà al tavolo per decidere il prossimo decreto di aprile “Cura Italia”. Così come è importante continuare ad avere un rapporto diretto con il presidente della Regione EmiliaRoma­gna, Stefano Bonaccini, con cui già Centergros­s dialoga da tempo, visto che molti temi sul commercio saranno di competenza regionale».

«Per ripartire bisogna avere chiare linee guida da seguire — le fa eco Federico Ballandi, titolare di Kontatto, a capo di 60 dipendenti cn un fatturato di 23 milioni nel 2019 — Una soluzione potrebbe essere l’eliminazio­ne dell’Iva e dei contributi», in cambio di sconti applicati alla clientela. «L’importante — va avanti — è far ripartire la filiera e snellire i costi che possono appesantir­e il sistema economico. Per il Made in Italy nel mondo, la moda è un valore aggiunto che l’Italia non può perdere».

Gianluca Santolini, titolare di Susy Mix (50 dipendenti e 32 milioni di fatturato nell’ultimo esercizio), suggerisce di affidarsi sempre più all’ecommerce, chiedendo allo Stato di mettere a disposizio­ne finanziame­nti agevolati e bonus fiscali per investimen­ti sul digitale».

«Necessitia­mo di finanziame­nti per l’intera filiera produttiva — insiste Marco Calzolari del Gruppo Kaos (50 milioni di fatturato e 91 dipendenti)— , da erogare alle aziende e ai nostri clienti, i commercian­ti, che versano nella nostra stessa situazione.

Produciamo beni che hanno una deperibili­tà pari a quella del settore food, perché sono stagionali. Ancora oggi l’artigianal­ità italiana ha un valore inestimabi­le, sul quale nessuno può competere».

«Il nostro Centro ha garantito prosperità alle aziende e al territorio — conclude il presidente di Centergros­s Piero Scandellar­i— , è stato un forte richiamo per i buyers internazio­nali, ha raggiunto un volume di affari imponente e assicurato lavoro direttamen­te a oltre 6000 persone, ad altrettant­e in modo indiretto. Ora questa eccellenza del Made in Italy rischia di crollare e dobbiamo fare tutto il possibile per salvarla».

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