Spaghetti, secchiate e gruppi leggenda Mito «Bologna rock»
Il 2 aprile 1979 la scena musicale bolognese entrò nella storia della città e dell’Italia intera. Il «Bologna rock» mostrò agli oltre 5.000 presenti la sua forza iconoclasta e la volontà di lasciare un segno. L’idea di un concerto/kermesse venne alla Harpo’s Bazaar, casa discografica felsinea che aveva già pubblicato diverse musicassette di band che si battagliavano a suon di pennarelli sotto i portici cittadini. Ci vollero circa otto mesi per organizzare l’evento dentro al salotto del basket bolognese, il palasport di Piazza Azzarita. I cancelli quel giorno si aprirono alle 19 e un fiume di persone dilagò all’interno. Amici, parenti e tanti curiosi arrivarono da Milano, Roma e Firenze. Dai resoconti degli organizzatori furono venduti 2.338 biglietti a 2.500 lire e 3.000 ingressi a 2.000 lire, ai quali si aggiunsero i portoghesi e gli imbucati.
Per tutti, però, c’era la consapevolezza che anche la platea doveva essere tra i protagonisti del concerto e così fu, nel bene e nel male. L’onore di aprire le danze spettò ai Bieki che furono sufficientemente tollerati dal pubblico, dopo di loro toccò ai Rusk and Brusk, che invece vennero massacrati, ma il vero inferno si scatenò con i Naptha, la loro proposta musicale era decisamente troppo all’avanguardia e il palco fu sommerso dal lancio di acqua e feci. Il concerto fu interrotto. Spettò ai Confusional Quartet riprendere le redini della serata. Il loro avantgarde squarciò il cielo del palasport. Si trattò di una breve tregua. Ai successivi Cheaters, i Kiss nostrani, non andò altrettanto bene e anche loro furono colpiti da secchiate d’acqua.
Il rock dei Windopen e dei Luti Chroma fu sopportato e digerito mentre il pubblico attendeva impaziente l’arrivo degli Skiantos con gli attesi lanci di verdura e ironia a badilate. Gli Skiantos, però, andarono oltre entrando nella leggenda. Il gruppo non aveva nessuna intenzione di suonare, anzi avevano deciso di fare una grande spaghettata sul palco. La platea inferocita cominciò a lanciare qualsiasi cosa nei confronti della band, qualcuno cercò di gettare a terra il mixer strappandone i cavi. A calmare gli animi arrivò il blues di Andy J. Forest, la quiete prima della tempesta finale con i Gaznevada. Il giorno dopo qualcuno intuì che un capitolo importante era stato scritto. «Bologna rock» aveva dimostrato che il grido dalle cantine era uscito e si era sparso per la città e per l’Italia. I danni al palasport ammontarono a 300.000 lire. Un’inezia se si scrive la storia.