FARE MEMORIA DEL FUTURO
Stefano Allievi ha osservato che i docenti non stanno svolgendo l’insegnamento a distanza con modalità uguali per tutti.
Comprensibile sia così. Nelle emergenze della vita, gli esseri umani danno più spesso il meglio di sé. Ma non tutti in assoluto e certamente non in maniera uguale. Non esiste imperativo che tenga. Sarà inevitabilmente diverso l’adoperarsi di ciascuno. Nella scuola, come negli ospedali o nei servizi di protezione civile. È il capitale umano - non il contesto professionale in cui si opera - a fare la differenza. Ci sono dunque situazioni differenziate nel «fare scuola ma non a scuola». Ma non differenze strutturali. D’altra parte, la rilettura delle pagine di questo giornale documenta il tanto positivo che accade nelle scuole dell’Emilia-Romagna. Un altro aspetto però mi interessa. L’articolo era titolato «Idee per la scuola», qui sta il punto! Non si tratta solo di «fare», costruendo giorno dopo giorno una nuova didattica, valutazione, incontri collegiali … a distanza. Già non è poco. Si tratta anche di «fare», pensando una scuola nuova. Così come «ciascuno cresce solo se sognato» (Danilo Dolci), anche la scuola cresce solo se sognata. Sognare la scuola non significa astrarsi dalla realtà, ma mettervi le radici, tentando di «fare memoria del futuro». Immaginare, nel vivere la realtà odierna, i possibili scenari futuri. Un esempio: il terremoto in Emilia nel 2012. Ci si adoperò per ultimare l’anno scolastico ed iniziare il nuovo nel miglior modo possibile. Con notevoli differenze da scuola a scuola. Chi in tende, chi in prefabbricati, con doppi e anche tripli turni. In quel caso «fare memoria del futuro» significò comprendere che non si dovevano ricostruire le scuole uguali a prima e con la medesima didattica. Al contrario, le scuole distrutte dovevano diventare migliori di prima. Da qui l’investimento sull’architettura delle scuole e per una didattica con le nuove tecnologie. Si era capito che era possibile fare una nuova scuola, partendo dalla realtà distruttiva del sisma. Chiediamoci dunque, quale il futuro dell’oggi? Avrà ancora un senso che la didattica a distanza rimanga una competenza d’emergenza? O capiremo che è competenza disciplinare da impartire a livello universitario nella formazione dei docenti e competenza professionale da esercitare nell’insegnamento? La lezione frontale, che fine farà? Realizzeremo le flipped classroom, le classi capovolte, predisponendo materiali on-line con cui gli studenti si preparino su un tema? Utilizzeremo poi le ore in presenza per attività a maggior valore aggiunto, di verifica socializzata degli apprendimenti e in modalità laboratoriale? E la politica avrà compreso dal Covid-19 l’importanza di investire per superare il digital divide. Come mantenere le famiglie nelle aree periferiche, se assenti le infrastrutture necessarie? Come evitare la dispersione scolastica, se molte famiglie non possono accedere ai device? Ancora: la privacy. Taluni genitori in questi giorni non vogliono che il figlio partecipi a lezioni video, perché non assicurata la privacy. Idem per alcuni docenti che temono lesa la propria riservatezza nell’insegnamento on-line. Pochissimi casi. Eppure la politica, «pensando il futuro», potrà ridurre il carico burocratico, frenante, di un tema così importante? Serviranno ancora due distinte Autorità, quella del Garante per la privacy e l’Anac per la trasparenza ? O una unica potrebbe meglio bilanciare i due principi? In ultimo. In questi giorni, tanta «fuffa» presente nella vita di tutti noi è rimasta schiacciata dal peso della morte. Smetteremo in futuro di considerare - nella politica come nella scuola, nei ministeri come nelle organizzazioni sociali la «fuffa» come sostanza della vita? Considereremo ancora la «sostanza» delle questioni, materia per illusi della vita?
Stefano Versari Ufficio scolastico regionale