FATTORE EMPATIA
Convinti che il corso degli eventi scorra in un alveo a pendenza modesta, l’attitudine a procrastinare il cambiamento è regola di vita.
Il cuore batte al ritmo del vantaggio immediato, pensando che ci vorranno decenni prima che uno o più shock, pari a quello che stiamo vivendo e che frantuma le nostre credenze, possano manifestarsi. L’improvviso palesarsi di eventi dirompenti è, allora, una coda velenosa.
Così la rappresentò John Steinbeck in «Furore», il suo realistico racconto della Grande Depressione americana: «…venuto il mattino, la polvere restava sospesa come nebbia e gli uomini s’appoggiavano coi gomiti sulle staccionate e stavano a guardare il granoturco rovinato». Oggi, siamo relegati tra le mura domestiche a causa del coronavirus. Praticando il distanziamento sociale ci sentiamo vicini alla solitudine osservata dai monaci e dagli eremiti? Ciò ci turba, oppure avvertiamo quel senso di gioia di cui scriveva nel 1993 il critico letterario George Watson nel suo saggio sulla beatitudine della solitudine? Milano 1630, Napoli 1656, Londra 1665: durante le epidemie del XVII secolo lo stare da soli era visto come un momento di mestizia ma anche di inquietudine provocata dal desiderio di uscire da quella costrizione migliorati. Nel secolo successivo, l’inquietudine volse in piacere. Tra il 1776 e il 1778 JeanJacques Rousseau scriveva sui piacevoli stati emotivi provocati dalle «Fantasticherie del passeggiatore solitario». Nei lettori delle «Fantasticherie» il filosofo ginevrino si proponeva di instillare la passione di conoscere meglio sé stessi essendo isolati e di provare un sentimento di empatia con la natura e, quindi, stringere con essa un rapporto armonico. Con il movimento dei poeti romantici si afferma il valore edonistico della solitudine. Al tempo del COVID-19, la lontananza sociale è un’opportunità per ritrovare i valori dell’empatia. Essa porta con sé l’apertura mentale, l’apprezzamento di prospettive diverse dalle proprie, l’accettazione di ciò che appare strano e, soprattutto, la comprensione dei bisogni e delle motivazioni altrui. Il potenziale di sviluppo umano avrà modo di realizzarsi riducendo il potere, oggi dominante, della misurazione a ogni costo. I beni immateriali come l’immaginazione, il capitale relazionale e reputazionale sono, come le particelle atomiche, invisibili a occhio nudo. Questi tre beni hanno caratteristiche uniche.
Non hanno un’etichetta con impresso il prezzo di mercato perché sfuggono alla contabilità tradizionale. Il loro valore si realizza quando sono intrecciati in complesse relazioni a livello sociale oltre che economico. Il periodo che stiamo attraversando è un’occasione unica per tornare bambini e giocare a fare il castoro, ampliando l’area di conoscenza intorno alla nostra tana del sapere. Nel campo da gioco, da soli attiveremo l’intelligenza intuitiva che individua ciò che non è immediatamente ovvio. In compagnia virtuale, grazie alle reti digitali, ci avvarremo dell’intelligenza spaziale che coglie gli elementi caratteristici di quel campo e dell’intelligenza interpersonale che innesca azioni collaborative. Insieme, queste tre intelligenze generano grandi cose a distanza di anni, portando l’attenzione su quei beni dell’intelletto che sono le idee rivoluzionarie. Esse stimolano domande e scoprono risposte originali da cui discendono attività creative concepite dalla mente umana se dotata di empatia. Che sia dunque il coronavirus il tempo di sperimentazione dell’empatia per comprendere bisogni e motivazioni degli altri e della natura. Tra «Gli otto peccati capitali della nostra civiltà», Konrad Lorenz annoverava il voler soddisfare immediatamente ogni nuovo desiderio con il denaro ottenuto il più in fretta possibile, anche a scapito dei consimili. La mente empatica innalza una diga contro l’egoismo.