LE COLPE DI TUTTI
Perché il mondo – a ogni livello, partendo dalle organizzazioni internazionali per arrivare alle singole regioni – si è rivelato impreparato ad affrontare una pandemia come quella che stiamo affrontando con troppe difficoltà? Il tema posto con efficacia da Simone Casalini, induce a una riflessione che non può limitarsi alla solita caccia al colpevole, per quanto doverosa sia. Certo, le classi dirigenti avevano tutti gli elementi per prevedere l’emergenza e predisporre le contromisure necessarie.
Bill Gates non era certo l’unico a formulare l’ipotesi di una minaccia incombente. Anthony Fauci – direttore del National Institute of Allergy and Infectious diseases di Bethesta (Usa), chiamato da Trump nella task-force anti-virus della Casa Bianca – ha rivelato al Washington Post di venerdì che la sua risposta alla domanda su cosa lo tenesse sveglio alla notte fosse da anni sempre la stessa: «Una malattia respiratoria che si diffonde facilmente da persona a persona e che presenta un elevato grado di morbilità e mortalità». Aggiungendo subito dopo: «E sfortunatamente per noi è esattamente ciò di cui ci stiamo occupando». Insomma, se il ruolo di Cassandra può comprensibilmente essere ritagliato per un imprenditore dell’informatica sicuramente geniale che però non è uno scienziato, è arduo fare altrettanto per chi, come Fauci, ha dedicato la sua lunga vita a studiare tutto quanto riguarda le malattie infettive, dall’Aids all’Ebola. Non solo: l’Oms, già nel settembre scorso, ha redatto un rapporto dal titolo emblematico: «Un mondo a rischio». In esso si evidenziava tra l’altro «una minaccia reale in arrivo, in rapido movimento, altamente letale di un agente patogeno respiratorio». Che si potesse agire con maggiore tempestività lo hanno dimostrato squallidamente quattro senatori americani: avendo ricevuto dai servizi segreti Usa allarmanti informazioni riservate sulle prospettive del contagio partito da Wuhan, hanno rapidamente venduto il loro ricco portafoglio di titoli azionari, senza neppure premurarsi di invocare parallelamente l’adozione di un piano sanitario all’altezza della tempesta. Se dunque il Potere sapeva, o avrebbe dovuto sapere cercando di informarsi seriamente tra un tweet e l’altro lanciato per raccogliere consenso a buon mercato, dobbiamo tuttavia chiederci se tanta allucinante imprevidenza alberghi unicamente a Palazzo o se invece ne siamo responsabili anche noi, in quota parte. Gli elettori chiedono investimenti sul futuro, oppure vogliono decisioni limitate al presente e ai loro contingenti interessi? Prendiamo il caso della Sanità: quando i cittadini, in varie zone della nostra regione, si sono battuti legittimamente per difendere il loro piccolo ospedale, lo hanno fatto pensando alla tenuta del sistema complessivo o erano mossi esclusivamente da istinti egoistici? Hanno ascoltato quello che dicevano i medici o hanno avuto fede negli arruffapopolo? Intendiamoci: adesso la capillare rete dei nosocomi è preziosa per reggere meglio all’emergenza, ma certo nessuno lo ha pensato quando manifestava con veemenza contro ogni possibile chiusura di qualche reparto. E ancora: quando si insisteva nel lesinare i finanziamenti alla sanità pubblica, alla ricerca, all’università, quanti hanno sostenuto che sarebbe stato meglio destinare a tali settori i soldi spesi, ad esempio, per «quota 100»? Sia chiaro: chi dirige ha il dovere di essere più lungimirante di tutti, di guidare la società anziché farsi guidare dalle spinte popolari, quindi nessuno li può sollevare dalla colpa di aver sottovalutato le conseguenze del Covid-19. Ciò non esclude, però, la necessità di interrogarci sulle responsabilità collettive.