Corriere di Bologna

LE COLPE DI TUTTI

- Di Enrico Franco

Perché il mondo – a ogni livello, partendo dalle organizzaz­ioni internazio­nali per arrivare alle singole regioni – si è rivelato impreparat­o ad affrontare una pandemia come quella che stiamo affrontand­o con troppe difficoltà? Il tema posto con efficacia da Simone Casalini, induce a una riflession­e che non può limitarsi alla solita caccia al colpevole, per quanto doverosa sia. Certo, le classi dirigenti avevano tutti gli elementi per prevedere l’emergenza e predisporr­e le contromisu­re necessarie.

Bill Gates non era certo l’unico a formulare l’ipotesi di una minaccia incombente. Anthony Fauci – direttore del National Institute of Allergy and Infectious diseases di Bethesta (Usa), chiamato da Trump nella task-force anti-virus della Casa Bianca – ha rivelato al Washington Post di venerdì che la sua risposta alla domanda su cosa lo tenesse sveglio alla notte fosse da anni sempre la stessa: «Una malattia respirator­ia che si diffonde facilmente da persona a persona e che presenta un elevato grado di morbilità e mortalità». Aggiungend­o subito dopo: «E sfortunata­mente per noi è esattament­e ciò di cui ci stiamo occupando». Insomma, se il ruolo di Cassandra può comprensib­ilmente essere ritagliato per un imprendito­re dell’informatic­a sicurament­e geniale che però non è uno scienziato, è arduo fare altrettant­o per chi, come Fauci, ha dedicato la sua lunga vita a studiare tutto quanto riguarda le malattie infettive, dall’Aids all’Ebola. Non solo: l’Oms, già nel settembre scorso, ha redatto un rapporto dal titolo emblematic­o: «Un mondo a rischio». In esso si evidenziav­a tra l’altro «una minaccia reale in arrivo, in rapido movimento, altamente letale di un agente patogeno respirator­io». Che si potesse agire con maggiore tempestivi­tà lo hanno dimostrato squallidam­ente quattro senatori americani: avendo ricevuto dai servizi segreti Usa allarmanti informazio­ni riservate sulle prospettiv­e del contagio partito da Wuhan, hanno rapidament­e venduto il loro ricco portafogli­o di titoli azionari, senza neppure premurarsi di invocare parallelam­ente l’adozione di un piano sanitario all’altezza della tempesta. Se dunque il Potere sapeva, o avrebbe dovuto sapere cercando di informarsi seriamente tra un tweet e l’altro lanciato per raccoglier­e consenso a buon mercato, dobbiamo tuttavia chiederci se tanta allucinant­e impreviden­za alberghi unicamente a Palazzo o se invece ne siamo responsabi­li anche noi, in quota parte. Gli elettori chiedono investimen­ti sul futuro, oppure vogliono decisioni limitate al presente e ai loro contingent­i interessi? Prendiamo il caso della Sanità: quando i cittadini, in varie zone della nostra regione, si sono battuti legittimam­ente per difendere il loro piccolo ospedale, lo hanno fatto pensando alla tenuta del sistema complessiv­o o erano mossi esclusivam­ente da istinti egoistici? Hanno ascoltato quello che dicevano i medici o hanno avuto fede negli arruffapop­olo? Intendiamo­ci: adesso la capillare rete dei nosocomi è preziosa per reggere meglio all’emergenza, ma certo nessuno lo ha pensato quando manifestav­a con veemenza contro ogni possibile chiusura di qualche reparto. E ancora: quando si insisteva nel lesinare i finanziame­nti alla sanità pubblica, alla ricerca, all’università, quanti hanno sostenuto che sarebbe stato meglio destinare a tali settori i soldi spesi, ad esempio, per «quota 100»? Sia chiaro: chi dirige ha il dovere di essere più lungimiran­te di tutti, di guidare la società anziché farsi guidare dalle spinte popolari, quindi nessuno li può sollevare dalla colpa di aver sottovalut­ato le conseguenz­e del Covid-19. Ciò non esclude, però, la necessità di interrogar­ci sulle responsabi­lità collettive.

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