Corriere di Bologna

Ha la febbre, niente tampone Si trascina all’ospedale

- di Luca Muleo

Due settimane con febbre, tosse e fiato corto. Anche il figlio, 7 anni, ammalato. Inutilment­e, prova a chiedere che gli vena fatto il tampone. Alla fine il suo medico gli dice: «Va al pronto soccorso». Così fa. «Non stavo in piedi», racconta Roberto Castro, 44 anni, ora ricoverato al Covid-Bellaria ma in via di guarigione. Una strada in salita, la sua, per ottenere il verdetto (scontato?): positivo al Covid-19. «A casa malato, avevo i sintomi, eppure non sono mai venuti. Ci hanno preso in giro».

L’odissea di Roberto Castro comincia due settimane prima del suo ricovero all’ospedale Covid-Bellaria.

Quindici giorni in cui il 44enne sistemista informatic­o di Casalecchi­o di Reno denuncia di avere atteso invano un tampone domiciliar­e. «Il mio medico ha provato a sollecitar­e l’intervento dell’Asl di Casalecchi­o in tutti i modi, non si è mai visto nessuno», dice ora che sta meglio.

La febbre e gli altri sintomi li aveva lui e anche il figlio di 7 anni. Debilitato e preoccupat­o, dopo tanta attesa «il dottore mi dice: “a questo punto vai al pronto soccorso”». Al Maggiore, con tutti i rischi del caso.

Era il 17 marzo quando inizia a stare male. Solo mercoledì scorso, finalmente, il verdetto: tampone positivo, si va al Bellaria. Roberto ha la polmonite, ora però sta meglio e ha recuperato le forze. La via d’uscita è lì, anche se l’incertezza non è finita. Perché al bimbo l’esame viene fatto soltanto due giorni fa, ed è ancora in attesa del risultato. Dalla positività o meno del piccolo dipenderà il suo rientro a casa o la quarantena in una struttura Covid-resort. Alla comnon pagna, che non ha sintomi, invece nulla.«Una cosa vergognosa», dice dal suo letto del Bellaria.

Comincia tutto il 17 marzo, l’informatic­o torna da lavoro e si sente bene: 37,5 di febbre. Il giorno dopo 38. In breve tempo il virus lo aggredisce con forza, la tachipirin­a non serve, smette di mangiare e di bere, perde 7 chili. A questo aggiunge la preoccupaz­ione per il terzogenit­o, anche lui ha febbre e tosse, il pediatra abbozza un aerosol che non serve. Passa una settimana e poi anche la seconda. «A casa malato, avevo i sintomi, eppure non sono mai venuti. Ci hanno preso in giro», dice il 44 enne, volontario soccorrito­re della pubblica assistenza di Sasso Marconi, intervenut­o subito dopo il terremoto dell’Aquila e quello in Emilia. «Ho provato ad attivare chi potevo, di mettermi in contatto con il sindaco di Casalecchi­o. Non c’è stato niente da fare». Dopo oltre dieci giorni senza risposte — «ho chiamato anche il numero di emergenza 1500, ma potevano confermare solo che serviva l’intervento dell’Asl» — sabato scorso rompe gli indugi. «Sono salito su per la rampa d’ingresso delle ambulanze del Maggiore, non stavo in piedi. Dai primi esami i livelli di saturazion­e del sangue non erano buoni. Mi hanno ricoverato, fatto il primo tampone domenica»: negativo. «Non erano riusciti a prelevare abbastanza materiale. Intanto mi trattavano già come caso di Covid-19, plaquenil e antibiotic­o la terapia».

Martedì ripete l’esame, stavolta positivo, e il giorno dopo lo mandano al Bellaria. «Qui va meglio, al Maggiore invece è una catastrofe. Vedevo uscire le bare una dopo l’altra. Si dimenticav­ano di darmi la terapia, dovevo stare in completo isolamento, alzarmi per prendere le medicine dietro la porta, misurarmi la febbre e urlare la temperatur­a a chi ascoltava da fuori». Accertata la positività, hanno chiamato il bimbo per il tampone. «Ora abbiamo due amici a Casalecchi­o nella stessa situazione, hanno avvertito i sintomi poco dopo di me, ancora nessuno è andato a casa loro».

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