L’appello del presidente dei penalisti D’Errico: ora i giudici riflettano
Due giorni dopo la morte del primo detenuto per coronavirus in Italia, il 76enne Vincenzo Sucato recluso alla Dozza di Bologna, quello delle carceri continua ad essere il fronte più delicato della battaglia all’epidemia. Ieri l’assessore Marco Lombardo ha spiegato in Consiglio comunale che oltre ai cinque casi di positività (quattro detenuti e un agente), altri cinque poliziotti della Penitenziaria sono risultati positivi al Covid dopo aver fatto il tampone all’esterno del circuito penitenziario. Il più colpito è il personale sanitario: 9 medici su 19 e 16 sanitari su 30, in servizio alla Dozza, si sono ammalati. Anche dopo la rivolta di un mese fa, la tensione tra le celle continua a salire: in una struttura che ospita 800 persone a fronte di una capienza di 500, è impossibile rispettare le distanze di sicurezza, anche per il personale. I reclusi non hanno disinfettante, mascherine, sapone.
Un tema che naturalmente non piò lasciare indifferente il presidente della Camera penale di Bologna Roberto D’Errico: «La comunità deve riflettere, in una fase di assoluta emergenza i giudici italiani e i giudici di questa città devono valutare la misura degli arrene sti domiciliari come la misura cautelare allo stato prevalente, tranne che non ci siano eccezionali e straordinarie esigenze cautelari». In Italia un detenuto su tre è recluso in attesa di giudizio e alla Dozza il reparto giudiziario, dove sono scoppiati i disordini, è quello più affollato, con circa 400 detenuti. «Tutte le perso
” Il report La metà del personale sanitario impegnato alla Dozza si è ammalato: sei gli agenti trovati positivi
che non sono straordinariamente pericolose — prosegue il presidente dei penalisti bolognesi —, devono andare agli arresti domiciliari, tanto più in un momento in cui è impossibile per chiunque uscire di casa. Non basteranno i tentativi disperati del Tribunale di sorveglianza per combattere il sovraffollamento: la presidente Antonietta Fiorillo sta facendo l’impossibile per smaltire i fascicoli, ma quell’ufficio sconta una carenza di magistrati cronica, bisogna che i giudici agiscano in coscienza. Se anche Paesi come la Turchia o in Sud America ci si è posti il problema, è possibile che l’Italia debba rimanere preda di pulsioni politiche che vogliono il detenuto come un nemico da abbattere? Invito i giudici delle indagini preliminari, del tribunale distrettuale della libertà, del dibattimento e della Corte d’Appello a riflettere».
D’Errico torna poi sulla vicenda di Sucato: «È vero che riguarda un altro distretto perché veniva da Palermo però domando a tutte le persone civili: un uomo di 76 anni già seriamente malato deve stare per forza in carcere in attesa di condanna?».
Dopo le rivolte scoppiate in 25 carceri italiane, il decreto Cura Italia ha previsto la scarcerazione per chi ha pene residue sotto i 6 mesi e da 6 a 18 mesi con braccialetto elettronico ma non per tutti i reati. A Bologna in 142 potrebbero lasciare l’istituto della Dozza ma «gli strumenti elettronici sono pochi — spiega D’Errico —, è evidente che la norma sconta già un blocco preliminare. Noi non strumentalizziamo il tema, basterebbe ascoltare cosa ha detto papa Francesco sul rischio epidemiologico presente in carcere».