Case di cura, cercasi operatori Zuppi: «Anziani protetti male»
Bando del Comune per medici e infermieri nelle strutture sotto attacco. Il cardinale: «L’età non è una discriminante per condannare o salvare una vita»
Molte case di riposo sono allo stremo e per provare a tamponare la carenza ormai strutturale di personale, fra contagi e quarantene, Comune e Asp di Bologna corrono ai ripari annunciando un bando per reclutare medici, infermieri e operatori socio-sanitari. Ad annunciarlo ieri in Consiglio comunale, su sollecitazione delle interrogazioni di Federico Martelloni di Coalizione civica e Graziella Tisselli della Lega, è l’assessore alle Politiche sociali e alla Sanità, Giuliano Barigazzi.
Barigazzi parla di «una situazione problematica, ma ancora sotto controllo» e snocciola i numeri: su 7.760 assistiti in 292 strutture accreditate e non — informa — sono in tutto 138 gli ospiti positivi al Covid-19; il 50% è ricoverato mentre sono 52 gli operatori contagiati e, per lo più, in isolamento domiciliare. Una delle situazioni più critiche si registra nel centro per disabili di via Battindarno, gestito da Anffas, dove risultano 11 positivi e un decesso mentre non ci sarebbero segnalazioni di contagio in case famiglia e gruppi appartamento. Sul caso, dopo aver ricevuto una lettera del presidente di Cna Pensionati Sandro Vanelli,
è intervenuto anche il cardinale Matteo Zuppi: «Non basta solo dire “state a casa”, dimenticando che questo per chi ha difficoltà è doppiamente complicato. Possiamo accettare — si domanda — che l’età diventi una discriminante per salvare o condannare una vita?». E, soprattutto «Le case di riposo sono state aiutate come si doveva? Non paghiamo forse il fatto che troppo poco negli anni passati abbiamo detto “restate a casa”, cercando soluzioni che sostenessero gli anziani domiciliarmente e favorendo le co-housing?».
Che esista una situazione a due facce, casi disperati come l’Ente Morale Sant’Anna e Santa Caterina (17 morti e decine di contagiati) e l’Asp Rodriguez di San Lazzaro (30 positivi) e altri in cui ancora le strutture tengono (nell’area occidentale e della montagna), lo confermano anche i sindacati che hanno chiesto addirittura l’intervento della Protezione civile. «Al Sant’Anna e alla Rodriguez la situazione è stata mal gestita e la mancanza di dispositivi di protezione ha fatto il resto — denuncia Simone Raffaelli (Fp-Cgil) — mentre le residenze dove i contagi sono arrivati dopo il lockdown sono riuscite a rimanere immuni o a isolare subito i contagi». Raffaelli indica anche tre soluzioni per superare le criticità: «Fare tamponi a tutti; trasformare le Cra in presidi ospedalieri o creare hub dove ricoverare i positivi».
Infine, una testimonianza: una Oss del Sant’Anna, in malattia dal 23 marzo con sintomi in attesa di tampone, che chiede di restare anonima: «La struttura si è mossa tardi — racconta — ha sottovalutato le prime influenze e ci ha dotato di mascherine solo il 16 marzo. Prima, se indossavamo le nostre, ce le faceva togliere per non spaventare gli anziani. Abbiamo paura, le nostre vite sono ormai rovinate, non ce ne dimenticheremo».
«Hanno sottovalutato le prime influenze: via le mascherine per non spaventare gli anziani»