LE NOSTRE COLPE
Il virus sars-Cov-2 ha trovato una ospitale accoglienza, in particolare nelle case protette e di riposo degli anziani. Contagio, malattia e morte si sono diffusi in questi numerosi e affollati luoghi, che avrebbero dovuto essere immuni da infezioni. Le strutture di ospitalità protette o di ricovero assistito si prestano a essere di facile isolamento sociale. Bastava non permettere ai familiari e agli esterni di entrare in tali spazi. Purtroppo il blocco delle entrate non è stato imposto.
Il nostro sistema sanitario ha reagito al meglio con generosità. Noi vorremmo soffermarci su un solo aspetto e riguarda l’importanza della sanità pubblica, della dimensione comunitaria e territoriale della salute. Le notizie di questi giorni evidenziano una svolta positiva dal momento in cui in Emilia abbiamo considerato e organizzato interventi anticipati rispetto al ricovero in ospedale. Il sistema delle Usca, e un ruolo più attivo e informato dei medici di medicina generale anche se ancora da migliorare, sta funzionando riducendo la pressione sulle terapie intensive e soprattutto permettendo ai pazienti un decorso migliore.
Cosa ci insegna per il futuro prossimo? A non vedere il sistema sanitario come un insieme di attori in competizione ma vederlo come un unico corpo dove ognuno svolge un ruolo diverso e che dobbiamo acquisire consapevolezza che la salute della comunità è premessa fondamentale per la salute di ognuno. Per questo occorrono risorse e relazioni. Relazioni costruite prima delle crisi tra chi opera nel sociale e chi opera in sanità, tra medici di medicina generale e ospedalieri, tra questi e le altre professioni sanitarie, tra le istituzioni, le realtà associative e i servizi sanitari. L’epidemia in corso ha messo a nudo vari aspetti di debolezza dei servizi di sanità pubblica come: la carenza di servizi per l’assistenza domiciliare, la marginalizzazione dei servizi di prevenzione, la insufficiente operatività delle reti cliniche oltre al sottodimensionamento delle dotazioni organiche,un ruolo della rete dei medici di medicina generale ancora inadeguato con insufficienti livelli di integrazione con i servizi di cure primarie, specialistica ambulatoriale e assistenza ospedaliera.
Le sfide che dovremo affrontare per la ripartenza richiedono un cambio di passo per fare fronte alle esigenze di questa fase molto delicata. Per fare solo qualche esempio: la strategia di uscita non potrà prescindere dall’attivazione di un programma di sorveglianza attiva che sappia individuare e isolare con tempestività i nuovi casi e i loro contatti, preveda il monitoraggio delle condizioni di salute della popolazione ancora positiva e assicurare un pronto intervento in caso di peggioramento delle condizioni di salute.
Sarà prioritario occuparsi delle fasce fragili di popolazione, come gli ospiti delle Rsa dove i sospetti dovrebbero essere isolati quanto più precocemente possibile (anche in attesa del risultato del test). Bisognerà costruire un rapporto di collaborazione e fiducia con sindaci e presidenti di quartiere e le associazioni di volontariato per riaprire i luoghi di aggregazione (es. centri anziani) in sicurezza.
Le nostre Case della Salute non alimentate da spinte comunitarie rischiano di tornare ad essere dei poliambulatori e non il luogo dell’incontro della Comunità, di scambio tra tutti i soggetti sociali e istituzionali che contribuiscono alla salute/benessere di tutti.
Quindi non un tanto un luogo fisico ma una comunità professionale che insieme alla comunità locale assicura prevenzione e assistenza per tutto l’arco della vita, promuove la salute e il benessere sociale.
Nella loro lettera ad una importante rivista di medicina 13 medici ospedalieri di Bergamo che hanno visto e vissuto l’inferno scrivono che in una pandemia le cure incentrate sul paziente sono inadeguate e devono essere sostituite dalle cure incentrate sulla comunità. Dimostriamo che abbiamo compreso.