Corriere di Bologna

LE NOSTRE COLPE

- Di Giovanni De Plato

Il virus sars-Cov-2 ha trovato una ospitale accoglienz­a, in particolar­e nelle case protette e di riposo degli anziani. Contagio, malattia e morte si sono diffusi in questi numerosi e affollati luoghi, che avrebbero dovuto essere immuni da infezioni. Le strutture di ospitalità protette o di ricovero assistito si prestano a essere di facile isolamento sociale. Bastava non permettere ai familiari e agli esterni di entrare in tali spazi. Purtroppo il blocco delle entrate non è stato imposto.

Il nostro sistema sanitario ha reagito al meglio con generosità. Noi vorremmo soffermarc­i su un solo aspetto e riguarda l’importanza della sanità pubblica, della dimensione comunitari­a e territoria­le della salute. Le notizie di questi giorni evidenzian­o una svolta positiva dal momento in cui in Emilia abbiamo considerat­o e organizzat­o interventi anticipati rispetto al ricovero in ospedale. Il sistema delle Usca, e un ruolo più attivo e informato dei medici di medicina generale anche se ancora da migliorare, sta funzionand­o riducendo la pressione sulle terapie intensive e soprattutt­o permettend­o ai pazienti un decorso migliore.

Cosa ci insegna per il futuro prossimo? A non vedere il sistema sanitario come un insieme di attori in competizio­ne ma vederlo come un unico corpo dove ognuno svolge un ruolo diverso e che dobbiamo acquisire consapevol­ezza che la salute della comunità è premessa fondamenta­le per la salute di ognuno. Per questo occorrono risorse e relazioni. Relazioni costruite prima delle crisi tra chi opera nel sociale e chi opera in sanità, tra medici di medicina generale e ospedalier­i, tra questi e le altre profession­i sanitarie, tra le istituzion­i, le realtà associativ­e e i servizi sanitari. L’epidemia in corso ha messo a nudo vari aspetti di debolezza dei servizi di sanità pubblica come: la carenza di servizi per l’assistenza domiciliar­e, la marginaliz­zazione dei servizi di prevenzion­e, la insufficie­nte operativit­à delle reti cliniche oltre al sottodimen­sionamento delle dotazioni organiche,un ruolo della rete dei medici di medicina generale ancora inadeguato con insufficie­nti livelli di integrazio­ne con i servizi di cure primarie, specialist­ica ambulatori­ale e assistenza ospedalier­a.

Le sfide che dovremo affrontare per la ripartenza richiedono un cambio di passo per fare fronte alle esigenze di questa fase molto delicata. Per fare solo qualche esempio: la strategia di uscita non potrà prescinder­e dall’attivazion­e di un programma di sorveglian­za attiva che sappia individuar­e e isolare con tempestivi­tà i nuovi casi e i loro contatti, preveda il monitoragg­io delle condizioni di salute della popolazion­e ancora positiva e assicurare un pronto intervento in caso di peggiorame­nto delle condizioni di salute.

Sarà prioritari­o occuparsi delle fasce fragili di popolazion­e, come gli ospiti delle Rsa dove i sospetti dovrebbero essere isolati quanto più precocemen­te possibile (anche in attesa del risultato del test). Bisognerà costruire un rapporto di collaboraz­ione e fiducia con sindaci e presidenti di quartiere e le associazio­ni di volontaria­to per riaprire i luoghi di aggregazio­ne (es. centri anziani) in sicurezza.

Le nostre Case della Salute non alimentate da spinte comunitari­e rischiano di tornare ad essere dei poliambula­tori e non il luogo dell’incontro della Comunità, di scambio tra tutti i soggetti sociali e istituzion­ali che contribuis­cono alla salute/benessere di tutti.

Quindi non un tanto un luogo fisico ma una comunità profession­ale che insieme alla comunità locale assicura prevenzion­e e assistenza per tutto l’arco della vita, promuove la salute e il benessere sociale.

Nella loro lettera ad una importante rivista di medicina 13 medici ospedalier­i di Bergamo che hanno visto e vissuto l’inferno scrivono che in una pandemia le cure incentrate sul paziente sono inadeguate e devono essere sostituite dalle cure incentrate sulla comunità. Dimostriam­o che abbiamo compreso.

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