Pregliasco: «Riaprire a maggio è prematuro»
«In termini strettamente sanitari uscire dal lockdown a maggio è prematuro perché i numeri sono ancora troppo altri, ma certo la politica deve scegliere in base al concetto di rischio tollerabile», dice il virologo Fabrizio Pregliasco che indica gli errori da evitare per non ripiombare nel dramma di queste settimane: «Bisogna scegliere e monitorare bene i lavoratori che potranno ripartire in base alle soglie del rischio». E poi tamponi selettivi, tracciamento alla coreana e isolamento dei nuovi positivi.
Aperture limitate dopo Pasqua per un pugno di aziende e un allentamento più significativo nella prima settimana di maggio. Pur tra molte cautele e nonostante i dubbi sollevati dagli esperti, il governo si avvia a modulare la fase 2, la graduale uscita dal lockdown, che dovrebbe entrare nel vivo tra un mese. La pressione del mondo produttivo è forte, mentre quello scientifico s’interroga sui rischi connessi alla riapertura e all’emersione di possibili nuovi focolai.
«È chiaro che da un punto di vista strettamente sanitario ragionare su maggio è prematuro. Bisogna essere cauti perché siamo ancora nella fase di una crescita lineare del contagio che va arginata con l’unico strumento disponibile, il prolungamento della quarantena, del distanziamento sociale. Ma è altrettanto evidente che la politica dovrà fondare le sue decisioni sul concetto di rischio accettabile anche perché a zero contagi e a rischio zero non ci arriveremo. Bisognerà vedere come arriveremo a quella data, un valore di 200, 300 contagi sarebbe una base accettabile», dice il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario Irccs Galeazzi di Milano, ricercatore dell’Università di Milano e presidente Anpas.
Una decisione delicata che riguarderà in primis alcune categorie produttive rispetto alle quali, rileva Pregliasco, non vanno commessi errori che sarebbero esiziali: «Non bisogna anzitutto sbagliare la valutazione delle tipologie dei lavoratori da far ripartire, occorre oggettivizzare in modo chiaro gli effettivi livelli di rischio cui sono esposti e assicurare un monitoraggio costante delle loro condizioni di salute, un passaggio cui dovranno essere affiancate misure specifiche e stringenti di distanziamento. Non possiaal mo rischiare di far partire focolai nelle fabbriche». Molte aziende si affidano ai test seriologici sugli anticorpi al coronavirus ma, ragiona ancora Pregliasco aderendo a una posizione consolidata nel mondo scientifico, «sarebbe un errore enorme dare ai test e solo a questi test una patente di immunità». Il rischio connesso è quello dei falsi positivi agli anticorpi, con la conseguenza di considerare immuni soggetti asintomatici che invece hanno contratto il virus. «Significherebbe dare il via libera a persone infettanti ritenendole invece sane, un disastro».
Quel che è certo, ragiona il virologo, è che questi sono i giorni decisivi in cui governo e comitato tecnico scientifico devono predisporre fin d’ora l’organizzazione necessaria per allentare la quarantena. Non possono esserci smagliature, si rischierebbe di ricominciare da capo: «Bisogna prepararsi a una situazione in cui ci sarà un andamento endemico, con la possibilità concreta del riemergere di nuovi focolai dalle braci. Questi vanno aggrediti subito con i tracciamenti dei contagiati, dei loro contatti, utilizzando massimo la tecnologia, e attraverso la cura che deve iniziare in casa all’insorgere dei primi sintomi, in modo che non arrivino in ospedale mezzi cadaveri come è accaduto quando la pressione sul sistema sanitario era massima».
E dunque tamponi e test selettivi, valutazione del rischio di singole categorie di lavoratori, tracciamento di spostamenti e contatti sul modello coreano, sottolinea Pregliasco, Covid resort e reparti Covid per isolare immediatamente e portare fuori casa i nuovi contagiati con sintomi. «L’errore più grande che si possa commettere è ragionare solo sui numeri dei contagi, pensando di aver battuto il virus quando scenderanno drasticamente. Serve una strategia su più step affidata alle organizzazioni sui territori che tenga conto della possibilità di aperture e nuove chiusure in presenza di focolai».
Si cammina, insomma, su un crinale pericoloso e lo scenario tra un mese non cambierà molto. C’è un rischio elevato, quello che il virologo associa alla negativizzazione della pandemia, il pericolo cioè che la gente pensi che tutto sia passato mentre «con il virus dovremo convivere almeno fino a quando non ci sarà un vaccino»
E dunque, sottolinea, i luoghi della socialità dovranno restare chiusi, «sarebbe folle riaprire discoteche e locali, dobbiamo dimenticarceli», mentre il distanziamento sociale, il lavaggio costante delle mani e la prevenzione devono essere il primo pensiero: «Dobbiamo puntare a un utilizzo pedagogico delle mascherine e abituarci a stare lontani, dagli altri e dalle fonti di rischio. Almeno fino al vaccino».