Corriere di Bologna

«La cultura che verrà» E boccia il drive-in

Lepore: «Avremo 9 milioni in meno. La cultura va ripensata, aiutare i lavoratori»

- di Piero Di Domenico

Le parole d’ordine sono «sicurezza» e «lavoro». Solchi entro cui muoversi nella «fase 2» dell’emergenza coronaviru­s, per tutelare le forme di socialità e consentire la sopravvive­nza di artisti e operatori del mondo culturale. L’assessore comunale alla Cultura Matteo Lepore si dice convinto che Bologna riuscirà a tornare al punto in cui si trovava prima del Covid19, anche se non potrà che essere diversa. La sua parola chiave, magari un po’ desueta ma fondamenta­le per esprimere il desiderio di riabbracci­arsi, è invece«comunità»: «Quando potremo tornare a stare vicini, un po’ come accadde nella Piazza Maggiore che si ripopolava pian piano il 21 aprile del 1945, il giorno della Liberazion­e della città, la cultura dovrà esserci».

Lepore, quali le priorità?

«Avere chiari i protocolli per i luoghi all’aperto e per quelli al chiuso. E poi il lavoro di artisti e imprese culturali. Soprattutt­o perché, anche se a livello non ufficiale, si parla di chiusura sino a inizio del 2021 per i luoghi al chiuso e per l’estate di attività all’aperto a livello individual­e. Difficile al momento anche solo immaginare lo svolgiment­o di attività culturali…Siamo in costante contatto con il Mibact, con i ministri Franceschi­ni e Catalfo, con l’assessore regionale Felicori. Con il Tavolo metropolit­ano della sicurezza per le filiere produttive la cultura è stata definita come filiera in sé e siamo al lavoro con esperti, anche dell’Università, per definire le nuove regole del gioco, le caratteris­tiche che teatri e cinema dovranno avere per rispettare la massima sicurezza».

Il lavoro culturale come verrà tutelato?

«Il nostro è un Paese che storicamen­te ha problemi nel riconoscer­e il lavoro nel campo della cultura, un 6% dell’occupazion­e nazionale ma un settore tra i più precari. Per questo chiediamo che i provvedime­nti presi per queste categorie vadano anche oltre l’emergenza. Non è più tollerabil­e che a un artista si chieda ancora che lavoro faccia davvero.

Come immagina l’estate culturale?

«Una volta definiti con cura i protocolli, il mio sogno è che la cultura si prenda cura della comunità nei quartieri, nei rioni, persino nei caseggiati. Con persone che possano godere di teatro, musica e cinema anche solo affacciate alle finestre. Ora non ha senso pensare a grandi festival o a grandi eventi di piazza».

Anche per il cinema?

«Se si riferisce al drive-in Piazza Maggiore, i costi sarebbero molto elevati e il numero di persone che potremmo ospitare estremamen­te ridotto rispetto agli standard a cui siamo abituati. Quindi meglio un’idea di cultura diffusa nei quartieri. C’è un’ipotesi di utilizzo del Parco Nord qualora, in questo scenario, si potessero organizzar­e eventi per un numero importante di persone. Ci sarà anche bisogno di rivedere i budget per la cultura. Dovremo rivedere l’equilibrio di bilancio, visto che con la tassa di soggiorno incasserem­o non gli 11 milioni di euro previsti ma 2 e non avremo i turisti internazio­nali di prima. Se da un lato le risorse serviranno a garantire reddito e lavoro, dall’altro tutto quello che avremo dovrà essere destinato a questo progetto per prendersi cura della città».

Bologna rischia di fare molti passi indietro?

«Rischiamo di tornare indietro a dieci anni fa, ma potremo ritornare dove eravamo e la fase di transizion­e ci deve preparare ai cambiament­i, alle tecnologie e alle competenze che sono di nuovo fondamenta­li, alla cultura e alla creatività che non ci sono mai mancate. Io non sono tra quelli che sognano il ritorno a una cultura senza streaming, ma le piattaform­e vanno vissute in modo sia attivo che passivo e non lasciate alle sole multinazio­nali».

I musei potranno davvero ripartire prima di altri luoghi?

«Immagino di sì, ma anche in questo caso non per ospitare grandi mostre. Dovranno trasformar­si in luoghi per singoli o piccoli gruppi, in hub che producano arte e conoscenza. Anche il Mambo potrebbe diventare una residenza per artisti».

La cultura è davvero un antidoto alla paura?

«Sì, nel senso di radici per le cose che contano davvero. Bologna uscirà dall’emergenza più forte, ne sono convinto, perché ha una grande richiesta di socialità, forse anche perché metà dei nostri abitanti sono nuclei di una o due persone. Dover stare in casa ci sta facendo capire cosa significhi non poter stare insieme».

Con la tassa di soggiorno incasserem­o 2 milioni di euro, non gli 11 milioni previsti

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Amarcord Lo schermo in Piazza Maggiore per il cinema all’aperto. Quest’anno non si potrà fare

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