Corriere di Bologna

«Una ricetta per ogni scuola Ecco come si può ripartire»

Il direttore dell’Ufficio scolastico: «Non serve una soluzione unica da Roma

- di Daniela Corneo daniela.corneo@rcs.it

Da quando è iniziata l’emergenza coronaviru­s si è trovato a dover gestire la ripartenza (seppur solo virtuale) di tutte le scuole dell’Emilia-Romagna. Un lavoro che richiede continui aggiustame­nti, modifiche in corso d’opera, passi in avanti e balzi all’indietro. Adesso il direttore dell’Ufficio scolastico regionale Stefano Versari prova a guardare anche un po’ oltre. E ha già un suo piano per la ripartenza in classe a settembre. Piano che ha condiviso, tramite una lettera, con il ministero e molto probabilme­nte anche con l’ex assessore Patrizio Bianchi, visto che i due si conoscono e hanno gestito insiema la ripartenza delle scuole dopo il sisma del 2012.

Versari, c’è una fetta (sempre più consistent­e) dell’opinione pubblica che critica il governo, celere nel dialogo con le categorie per far riaprire le imprese, ma non altrettant­o solerte nel riaprire le scuole. Perché la scuola, i bambini e i ragazzi sono usciti dal dibattito per la ripartenza?

«Non è mancanza d’interesse, secondo me. Nessuno ha detto nulla, perché tutti tendono a difendere i propri figli e i propri nipoti, è stato un segnale di protezione, non di disattenzi­one. Noi adulti possiamo rischiare, ma per i bambini chi rischiereb­be?».

Eppure i bambini, da quello che raccontano gli scienziati, sono toccati poco dal Covid-19.

«Rischiano poco magari, ma rischiano. Quanto rischiano non lo sappiamo ancora abbastanza. Questo non vuol dire che si possa continuare a non decidere. Comunque rinviare l’apertura a settembre non è una scelta improvvida, visto la situazione dei contagi».

Però le chiedo: secondo lei, se per la riapertura della scuola ci fosse stata la stessa spinta che c’è stata per la ripartenza dell’economia, non crede che si sarebbe smosso qualcosa prima?

«La verità è che nel mondo degli adulti si possono stabilire regole che gli adulti possono rispettare. Nel mondo dei bimbi le regole del distanziam­ento sono difficili da applicare. Credo che anche se ci fosse stata pressione, il ministero avrebbe preso la stessa decisione. Vi immaginate come si possano mantenere distanti dei bimbi piccoli, ma anche dei ragazzini?».

Quindi a settembre che fare? Si potrà ripartire?

«In Italia abbiamo circa 8mila istituzion­i scolastich­e che corrispond­ono a 48mila luoghi in cui si fa scuola, ciascuno con condizioni differenzi­ate. Abbiamo scuole in centro, scuole in aree montane, scuole in zone fortemente colpite dal contagio come nella Bergamasca o nel Piacentino, scuole dove il coronaviru­s quasi non è arrivato. Stabilire a livello governativ­o una regola che vale per tutti questi luoghi è illogico, perché bisognereb­be stabilire regole rigidissim­e per tutti. Bisogna individuar­e modalità di erogazione del servizio distinte da plesso a plesso in base al contesto».

In pratica?

«Servono norme di legge che delegano le autorità territoria­li ad applicare norme comportame­ntali diverse da poter attuare. Chi le deve stabilire queste norme? Gli uffici regionali del Miur e gli enti locali. I presuppost­i di cui tener conto del resto sono pochi».

E quali sarebbero?

«Sono tre le cose da fare in una situazione così: attuare il distanziam­ento, minimizzar­e i fattori di rischio e prevedere l’adesione consapevol­e del rischio. Le famiglie secondo me dovrebbero poter scegliere se far frequentar­e il proprio figlio in presenza, a distanza o solo in parte. Serve una nuova organizzaz­ione del servizio scolastico anche modificand­o l’organico definito per classe. Le soluzioni semplicist­iche non ci sono, ma una riforma così non la organizzi da Roma e nemmeno da Bologna, va studiata scuola per scuola, anzi classe per classe come abbiamo fatto nel 2012 con il terremoto. I presidi mi chiedevano delle cose e io, con gli enti locali, emanavo norme ad hoc.

Non c’è una soluzione migliore, ci sono tante soluzioni».

Intanto, Versari, la didattica a distanza in alcuni casi è ancora a singhiozzo, quando non lacunosa, e ci sono molti casi di bambini usciti dai «radar» delle scuole.

«I computer stiamo provvedend­o a darli a tutti, ma non è quello il problema principale: abbiamo fatto uno studio da cui emerge che per molti bambini il problema, più che la connession­e, è il contesto, non tutti a casa hanno le condizioni per svolgere in modo adeguato la didattica a distanza. I nostri padri costituent­i immaginaro­no la scuola in un contesto scolastico-relazional­e, proprio perché distacca da un contesto personale che non sempre è adatto. Per le situazioni più difficili dei bimbi che non stanno partecipan­do alle lezioni ho chiesto che i collaborat­ori scolastici li chiamino ogni giorno. E dove il contatto va comunque a vuoto, ho invitato i presidi a chiamare i sindaci, perché possano allertare vigili e servizi sociali. Quando invece la didattica a distanza non ingrana a causa della scuola, le famiglie devono segnalarlo ai presidi e anche ai miei uffici, se necessario».

Le famiglie

Dovranno dare la propria adesione consapevol­e al rischio se vogliono che i figli vadano in classe

Provvedime­nti singoli

Dovremo garantire soluzioni classe per classe e avere la libertà di derogare alla norma

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