Corriere di Bologna

Cercasi comunità

L’antropolog­o Aime riflette sul termine sotto l’emergenza: «Solo la collaboraz­ione può salvarci da questo e altri attacchi»

- di Massimo Marino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

C’era una volta e ora non c’è più. Non è un personaggi­o di favola, ma la comunità, entità di cui sembriamo avere continuame­nte nostalgia, ma che poco facciamo per far vivere, a causa delle vite che conduciamo. Parola difficile da definire e spesso usata a sproposito, come cultura, simbolo, mito e altre ancora come etnia, identità... Parola controtemp­o, tanto da meritarsi un volume nell’omonima collana della casa editrice il Mulino (Comunità, pp. 128, euro 12). Lo ha scritto l’anno scorso una vera autorità degli studi antropolog­ici, Marco Aime, docente all’università di Genova. Ne parlerà martedì alle 21 alle 18 in streaming sul canale Facebook del Cubo Unipol per la rassegna «Cubo condivider­e cultura». L’assunto dello studioso è chiaro fin dalle prime pagine, quando scrive: «Comunità è una parola che piace quasi a tutti, perché evoca un ambiente tranquillo, bucolico, dal ritmo lento, in armonia con la natura». E però si chiede subito quando si può parlare di comunità e, continuand­o, se le «communitie­s» del web si possano dire comunità. E la cosiddetta Comunità Europea?

Comunità è una «parola calda», che rimanda a un mondo di rapporti diretti, alla società contadina e ai villaggi, a dimensioni piccole e omogenee. Con la società industrial­e e urbana e i loro spostament­i e incroci esplode, trasforman­dosi piuttosto in associazio­ni temporanee e instabili. Ancora di più si trasforma quando dalla relazione «face to face» si passa a quella «screen to screen» del web, ai like e a un’«amicizia» senza contatto interperso­nale. I vincoli comunitari – sostiene lo studioso, con uno sguardo disincanta­to se non decisament­e pessimista – si dissolvono definitiva­mente nell’egolatria, nel narcisismo e nei non luoghi del web.

Il bisogno di acquetare le paure in un gruppo di riferiment­o, fanno però nascere narrazioni inquietant­i come quelle legate alla nazione, alla razza, all’etnia, all’identità, barriere, confini segnati per escludere gli altri e per difenderci.

La riflession­e ha però anche una parte costruttiv­a, dove l’autore si interroga su come rinnovare le relazioni, oggi. Scartata la cultura virtuale, come «disimpegno dal mondo reale e dalla condizione umana di incarnazio­ne», la proposta è di tornare a coinvolger­e di più le persone, nella politica, nell’attività sociale, nella cooperazio­ne, usando il web come uno strumento complement­are. L’attenzione va posta sulla condivisio­ne, sulla cultura non economicis­ta del dono, sui beni comuni.

A proposito dei nuovi scenari indotti dall’emergenza sanitaria che viviamo, lo studioso aggiunge: «In questi tempi di coronaviru­s si moltiplica­no i richiami alla comunità. Sembra un paradosso: una comunità si costruisce e vive sulle relazioni e invece veniva invocata proprio quando le relazioni diventavan­o difficilis­sime, se non quasi impossibil­i. Ciò che ci accomuna, oggi, è innanzitut­to la paura del virus, che si traduce nella paura dell’altro, non il desiderio di condivider­e spazi e tempi con lui. La gente (poca) per strada si evita, mantiene le distanze, cerca il maggiore isolamento possibile».

E continua: «Una comunità, per durare nel tempo, deve produrre dei rituali, che la colleghino alla sua memoria condivisa e che mettano in scena il legame tra i suoi membri. Era un tentativo, è vero, ma non è sufficient­e mettersi a cantare sul balcone, o a suonare, ad applaudire: iniziative lodevoli, ma non sufficient­i, non abbastanza sentite e partecipat­e. L’isolamento è pesante… ma potrebbe dimostrars­i utile, però, per comprender­e da un lato la nostra fragilità, dall’altro il bisogno fondamenta­le del dialogo e del superament­o di molti confini. Il nostro antropocen­trismo ci ha indotti sempre di più a pensare di dominare ogni cosa, e l’etnocentri­smo ci porta a pensare che possiamo dominarla da soli, senza gli altri, fino a quando arriva un affarino invisibile, che mette in ginocchio l’intero pianeta. Solo la collaboraz­ione può difenderci da questo e altri attacchi, se lo capiremo allora sì che potrebbe nascere qualcosa di nuovo».

 ??  ?? Solitudine e straniamen­to «Orfeo trovatore stanco» di Giorgio De Chirico (1970), Il quadro è conservato nella Fondazione Giorgio e Isa De Chirico (Roma)
Solitudine e straniamen­to «Orfeo trovatore stanco» di Giorgio De Chirico (1970), Il quadro è conservato nella Fondazione Giorgio e Isa De Chirico (Roma)
 ??  ?? Autore Marco Aime: il 21 aprile dialogherà su «Comunità» in streaming sul canale Fb del Cubo Unipol
Autore Marco Aime: il 21 aprile dialogherà su «Comunità» in streaming sul canale Fb del Cubo Unipol

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