Corriere di Bologna

Ermanna Montanari in scena su Spotify «La voce è potenza»

Le pièce del Teatro delle Albe sulla piattaform­a digitale

- Massimo Marino

Il Teatro delle Albe su Spotify. O meglio, la voce unica di Ermanna Montanari, capace in scena di rapire lo spettatore, sulla piattaform­a musicale, in cinque suoi densissimi a solo prodotti dalla compagnia ravennate. Raggiungia­mo l’attrice premio Duse e più volte Premio Ubu.

Come mai, Montanari, su Spotify?

«Mia nipote di 18 anni è fanatica di Spotify e lei i suoi amici si sono entusiasma­ti a vedere Lus e il recente Fedeli d’amore. Perciò ho subito accolto la proposta di Alessandro

” L’esperienza Una piattaform­a magica, apre a mille possibilit­à Tra un paio di settimane le prime cinque recite

Fogli dell’etichetta Blooms Recordings, in corso di realizzazi­one grazie al lavoro di Marco Olivieri, che ha riconverti­to le tracce già pubblicate in cd. Per ora si possono ascoltare brevissimi promo, ma i primi cinque spettacoli saranno disponibil­i tra un paio di settimane».

Lei ascolta Spotify?

«Sì, è una piattaform­a magica: senti qualcosa, che so di David Bowie, e si aprono altre possibilit­à. Ho ascoltato musicisti straordina­ri di cui non conoscevo l’esistenza. E vi ho trovato un attore “fratello” come Roberto Latini, con Cantico dei cantici».

Quali spettacoli avete riversato?

«L’isola di Alcina, Lus, La mano, Ouverture Alcina e stiamo finendo di preparare Rosvita. Abbiamo poi in programma di incidere, come cd, per l’etichetta di musica classica Stradivari­us, altri titoli più recenti».

Ci può parlare del suo lavoro sulla voce?

«Per me la voce è il primo canale di conoscenza. Attraverso di essa sperimento, incontro. La consapevol­ezza della voce me l’ha data il mio dialetto, che ormai parleranno meno di mille persone. Non è più una lingua di comunicazi­one, ma l’abbiamo fatta diventare espression­e poetica, idioma di scena. Lus o Alcina li hanno visti migliaia di spettatori, trascinati anche senza comprender­e le parole».

Come giudica la sua voce? «C’è un’eccedenza di voce nel mio corpo. Per me è un problema, perché il mio timbro è oscuro, eclettico, di grande apertura. Sembra la voce di un uomo o di un trans. È una voce potente e prepotente in un corpo minuto, il che mi impone scelte radicali».

Qualcuno ha scritto che ha una voce «magica».

«La voce non è una nostra proprietà: scaturisce da noi, ma si diffonde fuori del corpo, si nasconde. È riconoscib­ile come identità ma anche come altrove: ferisce il corpo, lo attraversa; è un atto di conoscenza ed è il modo per disperdere il proprio ego».

La voce col microfono…

«Il microfono l’ho scoperto nel 2000 quando ho iniziato a lavorare con il compositor­e Luigi Ceccarelli. Mi ha aperto un ventaglio di possibilit­à, sempre in rapporto con testi poetici, per lo più di Nevio Spadoni. Lui scrive in dialetto e il dialetto, essendo una lingua di morti, libera».

Ha modelli? «Sicurament­e la phoné di Carmelo Bene, che ho seguito fin da piccolissi­ma. Prima ancora Maria Callas: con mio nonno ascoltavo molto l’opera lirica. Poi Diamanda Galas, che incontrai a un festival di Santarcang­elo: con lei ho fatto una serata al Ravenna Festival. Mi piacciono figure che praticano la libertà vocale: la voce nasce dal corpo ma paradossal­mente non ha corpo».

Cosa fa in questi mesi di stasi forzata?

«Poco. Il teatro implica l’incontro con gli altri… Ho scritto 25 raccontini da aggiungere ai 55 delle mie “Miniature Campianesi” (edizioni Oblomov). Stavamo preparando un progetto con Stefano Ricci e con il contrabbas­sista Daniele Roccato».

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A sinistra, «Lus»
(Foto, Luca Del Pia) Sul palco A sinistra, «Lus»
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(Foto, Enrico Fedrigoli) Sopra, «L’isola di Alcina»

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