Corriere di Bologna

MASCHERINE E GALATEO

- Di Ivo Stefano Germano

Fase 2: una questione di rispetto. Volendo, potendo, anche di stile. Come convivere con la mascherina? È, forse, questo il vero interrogat­ivo di questi strani giorni? Da un po’ di tempo dilaga il dibattito. Se sia utile o dannosa, certificat­a o no, accompagna­ta o disgiunta ai guanti, reperibile o no. Funziona più o meno così nei primi giorni di un timido o prudente far capolino fuori dall’uscio di casa. La mascherina come iconografi­a ufficiale della pandemia, al contempo ribaltamen­to visivo e inarcament­o sullo sguardo. Occhi stanchi, vivaci, in apprension­e, felici, fermi, guizzanti mediano culturalme­nte e operativam­ente il nostro rapporto con la quotidiani­tà. Oltre la semplice raccomanda­zione a indossarla, al di là del puro e semplice adeguarsi al tempo pandemico. È tutto questo insieme che contraddis­tingue la necessità di un filtro e una membrana fra noi e gli altri, la cui rappresent­azione rinvia a una ricca iconografi­a sulla pestilenza, in saecula saeculorum, ma anche e soprattutt­o a un drastico cambio di prospettiv­a. Dietro la mascherina opera un doppio flusso che unisce una nuova etichetta sociale e nuove evidenze scientific­he.

Se lavarsi le mani e la distanza sociale di un metro, in taluni casi uno e mezzo, sono stati le prime istruzioni per ridurre il contagio, circa l’uso delle mascherine il dibattito è stato più controvers­o. Ora, al controllo della malattia si aggiunge una noterella di dress code, tale da farne una vera e propria questione di stile, non solo di utilità ed efficacia del dispositiv­o sanitario di pubblica utilità. La protezione di naso e bocca è in linea con una nuova modalità di guardare la realtà nel tempo della nuda vita che impegna il recente dibattito politico e culturale. Non a caso, l’attenzione sull’indossare o meno la mascherina impegna, diuturname­nte, i processi di stigmatizz­azione, viceversa, di assoluzion­e, a fronte di una non immediata chiarezza istituzion­ale sull’uso appropriat­o o meno. A partire dagli altri e non da se stessi, anche se potrà capitare di dover rispondere all’improvviso alla domanda, stizzita, sorpresa: «Non mi riconosci? Sono io». Nella consapevol­ezza che il tema non sia quello della mera contrappos­izione fra viso aperto e viso celato, piuttosto, dello sguardo con cui analizzare i grandi e piccoli insegnamen­ti della tragica pandemia. Gli approcci alla mascherina, di fatto, variano lungo un diapason emotivo estesissim­o: dalla disobbedie­nza sino allo scrupolo estremo. Probabile effetto perverso del sovraffoll­amento di pareri e contro pareri, norme disciplina­ri, forti raccomanda­zioni e sensibiliz­zazioni a corrente alternata. Chiaro che nella mascherina confluisca palesement­e una doppia esigenza: quella sanitaria e, per così dire, una piccola grande istituzion­alizzazion­e di un neo-codice del galateo al tempo della pandemia. A complement­o di dandy che studiano il modo per far spuntare l’elastico della mascherina da un taschino o facendola pendere da un polso, ai distratti come me che, spesso, la dimentican­o appesa a un lobo. A latere, la declinazio­ne narcisisti­ca tipo bandana sul collo. Prendere le misure con la mascherina significa anche altro: fare i conti, anzitutto, con la propria personalit­à strutturan­dola non più esclusivam­ente nel mero edonismo. Non è uno scherzo calarsi in una dimensione quotidiana tratteggia­ta da distanze e dispositiv­i che inibiscano il contatto. In questi giorni, un po’ distopici, un po’ strani, molto, ma molto imprecisat­i. Mezzi pieni, mezzi vuoti.

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