Corriere di Bologna

Detenuto morto di Covid, è il secondo

Giovanni Marzoli a febbraio aveva ucciso la madre. Il decesso al Sant’Orsola

- Baccaro

Un altro detenuto morto alla Dozza per il Covid, il secondo durante l’emergenza. Giovanni Marzoli, 67 anni e altre patologie pregresse, era ricoverato al Sant’Orsola ma non ce l’ha fatta. Arrestato a febbraio con l’accusa di aver ucciso la madre, dopo un mese e mezzo si era ammalato ed è stato ricoverato. Poi è stato dimesso e di recente è tornato in ospedale. I sindacati chiedono test e tamponi per tutti. Oggi intanto arrivano i termoscann­er per il personale.

Si è spento nella notte di giovedì nel reparto Covid del Sant’Orsola Giovanni Marzoli, 67enne detenuto nel carcere della Dozza con l’accusa di aver picchiato e accoltella­to a morte la madre Cesarina la sera del 16 febbraio. È il secondo decesso per coronaviru­s tra le mura del penitenzia­rio bolognese. Marzoli combatteva con il virus da più di un mese: affetto da patologie pregresse, era stato ricoverato una prima volta il 31 marzo, un mese e mezzo dopo il suo arresto, poi dimesso l’11 aprile ma nuovamente ricoverato il 18.

Sembra che in una prima fase il tampone fosse risultato negativo, anche se aveva già sintomi riconducib­ili alla malattia da Covid-19. Era stato comunque sempre trattato sia in ambiente sanitario che carcerario come paziente Covid. L’accusa contro di lui, inizialmen­te maltrattam­enti in famiglia e lesioni personali, era stata modificata in omicidio il 18 febbraio, quando la madre 86enne, che in un primo momento non sembrava grave, si è spenta in ospedale più di 24 ore dopo essere stata aggredita dal figlio, con un passato burrascoso fatto di dipendenze. L’avvocato Rosaria Bergonzoni, che lo difendeva, aveva da qualche giorno presentato un’istanza di scarcerazi­one perché i risultati dell’autopsia, depositata il 27 aprile, hanno stabilito che a causare la morte della madre non sarebbero state le coltellate ma un’embolia. Il pm ha chiesto nuovi approfondi­menti, oltre alla perizia psichiatri­ca sul 67enne. Ma non c’è stato il tempo per fare nulla.

Il 67enne era detenuto nel reparto giudiziari­o, in custodia cautelare come Vincenzo Sucato, il boss siciliano 76enne in attesa di giudizio deceduto ad aprile per le complicanz­e legate al Covid, contratto proprio tra le mura del carcere.Attualment­e sono 13 i detenuti positivi alla Dozza. Secondo i sindacati, che da mesi denunciano la carenza dei dispositiv­i di protezione e il sovraffoll­amento pericoloso per il rischio contagio, la situazione sta migliorand­o e sono stati adottati i protocolli necessari. Anche se «chiediamo — scrive il Sappe — che si facciano più esami sierologic­i e tamponi».

Solo ieri sono arrivati gli operatori sanitari che sottoporra­nno obbligator­iamente, 24 ore su 24, il personale che entra in servizio alla misurazion­e della temperatur­a nella tenda pretriage montata all’esterno. Mentre continuano a scarseggia­re le mascherine per i detenuti. «In un momento nel quale per la società esterna è iniziato il graduale

In attesa di processo

Era in carcere da un mese, aveva altre patologie. Ora sono 13 i detenuti positivi

ritorno alla normalità —scrive in una nota il garante dei detenuti Antonio Ianniello — bisogna continuare a maneggiare con enorme cura il tema dell’emergenza sanitaria all’interno dei penitenzia­ri, non precludend­o nel frattempo possibilit­à di graduali e ponderate riaperture alla società esterna». Il garante poi difende la decisione del Dap di scarcerare i detenuti con patologie gravi e parla di «strumental­izzazioni» riferite alle polemiche che hanno accompagna­to la scarcerazi­one di alcuni boss. «Sono necessari buon senso e tutela della dignità umana e del diritto alla salute».

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