Filosofo di bronzo
Nella Sala d’Ercole 30 sculture di Gilbert Kruft Un artista libero e puro, una vita da scoprire fra Heidegger, mercato, euforie e depressioni
Un libro di filosofia in bronzo. Così Sandra Kruft Zanotti, compagna di una vita dello scultore Gilbert Kruft, tedesco ma bolognese d’adozione, sintetizza la mostra che si apre oggi nella Sala d’Ercole di Palazzo d’Accursio. «Dopo la sua morte — continua — mi sono imposta di fare conoscere la sua arte. Quindi ho cominciato a fare qualche mostra personale, ognuna dedicata a un capitolo della sua Recherche Humaine e vedendo le reazioni delle persone ho capito di essere sulla strada giusta. Ed eccomi qui. Ho centrato l’obiettivo della mia vita, sognavo anche di notte di vedere le sue sculture esposte in una sala prestigiosa dove troneggia Ercole».
Le opere, visibili sino a fine mese tutti i giorni tranne i lunedì con ingresso libero, sono state fuse in bronzo dall’artista stesso. Per la prima volta un corpus di oltre trenta sculture raccolto nel percorso curato da Fabiana Maiorano, laureata all’Università di Bologna con una tesi proprio sull’artista scomparso 5 anni fa, e sostenuto dalla vedova dello scultore, presidente dell’associazione culturale che porta il suo nome. Kruft ha vissuto a lungo tra Germania, Francia e Svizzera dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Amburgo, dov’era stato tra i primi allievi di Eduardo Paolozzi, scultore inglese di origine italiana tra i precursori della Pop Art britannica. Poi, a metà anni ‘70, era arrivato a Bologna, stabilendo un sodalizio con la Fonderia artistica Venturi, per la quale negli anni ’80 aveva realizzato una collezione di complementi d’arredo in bronzo, «Le forme del Fuoco». «Il principale obiettivo del mio lavoro di ricerca — racconta la giovane curatrice — è far conoscere la storia di un uomo che sento di definire ‘scultore e filosofo». Fedele al principio di un’arte libera, che non può essere condizionata dalle esigenze del mercato, nel caso di Kruft mi sta a cuore sottolineare, anche in risposta a quanti si affacciano con diffidenza ai lavori di Kruft artista, interrogandosi sul valore di mercato di un Kruft opera, che in un’epoca in cui dall’arte si pretende lo shock a tutti i costi e si rincorre la novità rischiando la banalizzazione, si può essere grandi artisti senza essere parte di un sistema».
I capitoli in cui si divide il percorso sono stati definiti da Kruft stesso a partire da «Visto», che comprende anche «Piazza Maggiore», omaggio del 1976 con un pugno alzato alla Bologna in rivolta di quel periodo. Per proseguire con ‘«Vissuto», su momenti rilevanti della sua vita e un equilibrio perennemente inseguito tra tensione muscolare e fissità ossea, tra «Pretesa maschile» e «Sintesi femminile». E con le riflessioni sulla morte e sul silenzio di «Meditato», sino a un «Epilogo» sospeso tra euforia e depressione, egoismo, altruismo ed egocentrismo, alla costante ricerca dei tanti tasselli che definiscono un’identità.
Per Kruft, che aveva approfondito il pensiero del filosofo tedesco Martin Heidegger, l’uomo moderno è infatti sconosciuto a se stesso. La «Conclusione» comprende invece una serie di opere non esposte per la loro fragilità, visto che si tratta di calchi in gesso che Kruft non era riuscito a fondere, compresa “L’Atarassia” che gli era costata due anni di lavoro.