Il vaso di Pandora fra l’arte e l’industria
La fusione di arte e impresa augurata da Piero Formica (Corriere di Bologna, 2 giugno) per un artista consapevole e di ricerca, non può che avere poco interesse. E non è un caso se, al Forum dell’Arte Contemporanea, concluso da poco, a cui hanno partecipato qualche centinaio fra artisti e critici, non è mai saltato fuori. Se per artista s’intende una persona non soddisfatta di quello che passa il convento e quindi con un’esigenza di ricerca per nuove immagini, concetti e processi -e non necessariamente produrre un’opera d’arte intesa come pittura e scultura- allora questa fusione non può che essere distante. Le iniziative imprenditoriali hanno il fine di fare appunto impresa e profitto e se la buona impresa può essere interessata all’arte (non per comprenderla, ma solo per prendere spunti per la propria fede difficile chiamarla filosofia-), l’arte non ha tanto da guadagnarci perché non può che guastare la sua natura per una convivenza che sarà sempre all’insegna del troppo commestibile e del troppo potabile. L’arte contemporanea è bene, come diceva Mario Perniola, che rimanga nel Vaso di Pandora e aggiungeva un non è prudente scoperchiarlo. La differenza fra il Rinascimento (termine iattura che, ad esempio, impantana la città di Firenze da quasi un secolo) e l’oggi (dove l’arte da almeno 40 anni, come diceva Vito Acconci, è ritornata ad essere roba da ricchi, e quindi un Francois Pinault vale Francesco Sforza) è che allora c’era un canone mentre oggi non c’è più e questo non può essere certo riproposto dall’impresa (basta sentire parlare quelli delle eccellenze: Dallara, Pagani, Lamborghini e Ferrari per capire che sono rimasti fermi ad un vecchio ideale di bellezza, termine che in arte è scarico da almeno un secolo). L’artista contemporaneo, distante dall’artigiano, incarna semmai la figura del trickster, condizione necessaria e fondamentale, perchè è lui che gira le cose al contrario, che ne cambia il verso. Come dice Franco La Cecla Il contrario serve certamente a stabilire i confini delle regole, ma anche a far capire che queste possono essere cambiate e infrante. E l’impresa ci sente e lavora solo per il dritto.