LE LEZIONI PER USCIRE DALLA CRISI
Nel difficilissimo post-pandemia, ci sono alcune piccole-grandi lezioni che stiamo imparando. Speriamo sia la volta buona, considerando che già con la crisi del 2008-2009 sembravano lezioni sedimentate. Primo, la manifattura conta per il progresso di una regione (un Paese) anche nell’economia del XXI secolo. Proviamo a immaginare per un istante che Emilia-Romagna (Italia) sarebbe senza le filiere agroalimentari, biomedicali, farmaceutiche e meccaniche, in special modo quelle complementari alle prime tre industrie come il packaging bolognese. Un Paese già duramente colpito dal Covid-19 in tante sue attività caratteristiche – l’automotive e la moda per restare all’industria, il commercio e il turismo per allargare lo spettro a tutta l’economia – sarebbe sull’orlo del precipizio. Secondo, la finanza speculativa impersonata da «I Diavoli» – per dirla col best seller di Guido Maria Brera e la fortunata serie tv andata in onda su Sky Atlantic – pesa ancora moltissimo nell’economia del XXI secolo, ma non è finalizzata alla diffusione del benessere fra i tanti, restando un’attività nelle mani di pochissimi.
«Iprezzi, Kalim – è il racconto di uno di loro dalla sede londinese della grande banca d’affari – si muovono in maniera imprevedibile come le molecole calde quando incontrano quelle fredde, è il secondo principio della termodinamica, che ti dice che cambiando alcune condizioni di partenza è istantaneo passare dall’ordine al caos». La finanza che abbiamo in Emilia (banche specializzate nel retail), meno scintillante di quella anglosassone ma più vicina ai bisogni di famiglie e imprese, deve ora trovare il modo migliore per far affluire la liquidità ai tanti che ne hanno bisogno. Terzo, la manifattura richiede alle imprese un’ottica di gestione improntata al medio-lungo periodo: si investe oggi per coltivare la ragionevole speranza di poter raccogliere, un domani, i frutti di quella semina. Molte sono le specializzazioni produttive e le nicchie nelle quali c’è una leadership, a livello globale, dell’industria emiliana. Quarto, quella stessa manifattura richiede all’imprenditore di andare al di là del suo naturale individualismo per costruire proficue relazioni con tutti coloro che sono portatori di interesse nella vita dell’impresa. Ancora una volta, Bologna e l’Emilia con i fatti hanno dimostrato come si possa restituire al territorio, mediante l’opera di Fondazioni culturali, il lancio di programmi educativi e il potenziamento del welfare aziendale, una parte di ciò che le imprese sono state capaci di costruire. Quinto, le imprese manifatturiere e, più in generale, tutte le attività economiche nei loro percorsi di crescita e cambiamento strutturale (si pensi all’innovazione tecnologica) hanno bisogno dell’intelligente aiuto offerto dallo Stato. È ciò che in Occidente – non già nell’ex Unione Sovietica - chiamiamo politica industriale, la Cenerentola delle politiche pubbliche italiane di questi anni e che sarebbe ora di (ri)attivare guardando alle esperienze di Germania e Francia.
Beninteso, le cinque lezioni non si trasformano, come per incanto, in una garanzia di prosperità futura. Ma possono rappresentare un piccologrande insegnamento nel momento in cui la domandachiave diviene: con chi si confronterà, in Italia e nel mondo, Bologna nel prossimo futuro e con quale identità? Questa la domanda suggerita dal bell’editoriale di Franco Farinelli pubblicato su questo giornale: la sua risposta – «L’identità sapiente di Bologna» – è condivisibile in toto. Di più: si tratta di una domanda e di una risposta che possiamo estendere, pur nella consapevolezza della centralità della città-capoluogo, a tutta l’Emila. La Data Valley bolognese, i programmi sull’intelligenza artificiale a Modena, la meccatronicaIndustria 4.0 reggiana, l’agroindustria sostenibile del parmense non sono che alcuni degli esempi di una crescente osmosi fra scienza, industria e servizi. L’asticella è molto alta: Boston ha saputo reinventare se stessa più volte; il BadenWürttemberg investe in R&S il 5% del Pil, contro il nostro 2%. È giusto guardare ai primi della classe per poi trovare, con cognizione di causa e originalità, la propria strada.