«Ritorno al futuro»
La stagione riprende con la partita più ostica e un grande dubbio «Meglio festeggiare in salotto o sacramentare sugli spalti?»
La fede
Passione e fede calcistica continuano a trascinare generazioni di tifosi al Dall’Ara a vivere gioie e amarezze che il calcio e il Bologna riservano. Oggi però gli spalti saranno loro preclusi
Difficilmente dimenticheremo questo assurdo 2019-2020. In cui potrebbe succedere di tutto
Ricomincia il campionato «più strano di sempre» Lo scrittore rossoblù Morozzi riavvolge il nastro
Questo campionato, per noi del Bologna, verrà ricordato come il più strano di sempre. È iniziato con il nostro allenatore che ha dato quel terribile annuncio, in piena estate, e poi, con grande sorpresa di tutti, si è presentato a Verona indossando una mascherina. Si è fermato quando la mascherina, a un certo punto, l’abbiamo dovuta indossare tutti. E adesso è in procinto di ripartire per questa sorta di Mondiale di serie A, con partite ogni tre giorni in orari strani, senza pubblico.
Tutto questo dopo mesi di gol al novantesimo, novantunesimo, novantasettesimo, punizioni calciate dalla linea di fondo, Barrow che segna a Roma dopo un coast to coast, un 3-1 a Brescia che diventa un 3-4, la Var che vede ogni movimento della treccia di Palacio, le conferenze stampa dei vice di Sinisa…
Ecco: noi che abbiamo vissuto tanti campionati anonimi e uguali l’uno all’altro, noi che facciamo fatica a distinguere un’annata di Guidolin da un’altra di Guidolin, il Donadoni-due dal Donadoni-tre, difficilmente dimenticheremo questo assurdo 2019-2020. In cui potrebbe succedere davvero di tutto. Come starà Dijks dopo la sosta? Come staranno Medel, Palacio, Danilo? E Musa Barrow? Dominguez si sarà ambientato? Ma soprattutto: giocare senza pubblico come sarà?
(Domande che uno si pone: non si potrebbero far entrare solo gli abbonati, spargendoli a distanza, sfruttando la San Luca senza ospiti…? No, eh?)
E cominciare subito con la Juve, certo, è leggermente preoccupante. Visto che non vinciamo in casa con loro dal 1999.
Io ero in curva, ovviamente, quel 29 novembre del ’99. Faceva caldo, ricordo, un caldo insolito per quel periodo dell’anno. Era un segno del miracolo che stavamo per vedere, l’unica vittoria in casa con la Juve vissuta dal vivo dal sottoscritto in trentasei anni di tifo, una vittoria assurdamente facile, splendidamente rotonda. Prima e dopo, rivedo una frustrante carrellata di pareggi e sconfitte, Detari che sbaglia un rigore, Helander che fa un assist per Dybala, il gol fantasma di Zalayeta, Zaccardo che si addormenta al novantesimo, nel giorno del «Città di m.» di Guidolin e delle mani sulle orecchie di Bettega, Baggio che lascia il ritiro, l’arbitro Pieri vs. Cipriani, il tuffo di Krasic, Gimenez che dribbla Buffon e sbaglia un gol a porta vuota. Sì, le ho viste tutte, queste partite.
La vittoria che manca da ventun anni è una di quelle strane maledizioni rossoblù che ci sembrano incollate addosso. Tipo aver vinto solo una volta a Bergamo negli ultimi quarant’anni, tipo non aver mai vinto a Empoli, tipo battere regolarmente Inter e Milan a casa loro e mai al Dall’Ara da circa tre lustri.
Le ho viste tutte, dicevo, ma non sarò sugli spalti per questa ripresa di campionato. Come nessun altro tifoso.
Così, a questo punto, bisogna porsi le grandi domande esistenziali: è meglio vedere dal vivo una sconfitta con la Juve, o non vedere dal vivo una vittoria con la Juve? Meglio festeggiare dal salotto di casa, o uscire dalle scale della curva borbottando e sacramentando contro l’arbitro, contro Chiellini, contro la sfortuna e disgrazie assortite?
Ce ne faremo parecchie, quest’estate, di domande simili. Sperando di non dover pronunciare mai la parola «algoritmo». Mai, per carità.