Il ritorno di Giorgia (sotto la pioggia)
Torna l’investigatrice creata da Verasani. Una Bologna «intensa e conflittuale» diventa la coprotagonista del romanzo
Giorgia Cantini è tornata. L’inquieta investigatrice creata da Grazia Verasani in Quo vadis, baby? è di nuovo protagonista di un romanzo della scrittrice bolognese, Come la pioggia sul cellofan (Marsilio), che verrà presentato lunedì 20 luglio alle 21 nel Cortile dell’Archiginnasio per la rassegna «Stasera parlo io», con l’autrice a colloquio con Marcello Fois. Come già nelle precedenti avventure, Bologna è coprotagonista di un’indagine legata a un cantautore in crisi, vittima di stalking da parte di una fan morbosa. Come conferma il ringraziamento finale, «A Bologna, che nonostante un amore intermittente continua a essere una fonte di ispirazione».
Verasani, come si vive insieme a un personaggio seriale come Giorgia Cantini?
«Si vive bene, perché i romanzi con Giorgia escono circa ogni tre anni, nel frattempo scrivo romanzi diversi, ma ogni volta è come ritrovare una vecchia amica».
Di investigatrici femminili in questi ultimi anni ne sono nate tante. Ce n’è qualcuna che la convince di più?
«Dal 2004, cioè dal mio Quo vadis, baby? in poi, sono nate protagoniste noir da molte penne femminili. Mi sento orgogliosa del mio ruolo di apripista, perché fino ad allora il poliziesco era considerato un genere prettamente maschile. Sono tante e brave, ma prediligo Paola Barbato al giallo-rosa che imperversa».
Cosa ha invece di peculiare Giorgia Cantini?
«È una donna che ho sempre definito “tenera con rabbia”, è disincantata ma coraggiosa, anticonformista senza essere dura o aggressiva. L’ho creata ispirandomi a Chandler, amo quel tipo di epica, di fragilità e forza mescolate insieme, e descrivere una città, nel mio caso Bologna, che è coprotagonista intensa e conflittuale di tutte le storie. Giorgia è una donna contraddittoria, complessa, potrei dire una donna d’oggi, che non teme la solitudine e gioca sempre a carte scoperte».
Qual è invece il bilancio delle versioni cinematografica e televisiva?
«Ottimo. Gabriele Salvatores è stato sensibile e in qualche modo fedele, pur dando una propria interpretazione, e Angela Baraldi ha offerto a Giorgia un’espressività poco ortodossa, lontana dagli stereotipi di una bellezza canonica e rassicurante. La serie tv ha inaugurato, insieme a Romanzo Criminale, tutte le serie che poi si sono succedute».
Ancora una volta la musica entra con forza in un suo romanzo. In questo caso con un cantautore in difficoltà...
«La musica è fondamentale per me, la metto sempre e nel caso specifico di questo libro c’è anche un forte omaggio al cinema, soprattutto a Hitchcock. Il personaggio del cantautore mi ha permesso di raffigurare il mondo della musica pop attuale e i conseguenti contraccolpi del successo, la costante ricerca di un appagamento che va di pari passo con l’autostima e porta affanni e trionfi spesso solo momentanei».
A proposito di Hitchcock, perché il tema del doppio, dello specchio?
«Amo Jane Austen, che del doppio femminile ha fatto la sua cifra. Mettere in scena donne antitetiche, ma accomunate da un profondo senso di appartenenza a un sesso spesso mortificato è, in fondo, la trama sotterranea di questa storia».
Quali i luoghi di Bologna che ha scelto questa volta?
«In particolare i bar intorno a Piazza Santo Stefano, luogo che mi è caro per molte ragioni, ma anche il quartiere di Corticella dove ha sede l’agenzia investigativa di Giorgia, una periferia esotica, meticciata, per certi versi dolente».
Come ha vissuto il periodo di lockdown?
«Ho retto bene, correggendo le bozze di questo romanzo e leggendo montagne di libri, sentendo gli amici al telefono, e cercando di capire la situazione senza panico».
Negli anni ha sempre lavorato a cose molto diverse tra loro, di recente anche al film di Andrea Adriatico su Mario Mieli.
«Sì, amo il teatro e il cinema, e infatti ho lavorato al film su Mieli e alla docufiction sul mondo teatrale e la Casa di Riposo degli Artisti di Bologna di Riccardo Marchesini. Due esperienze diverse e straordinarie, anche perché ho condiviso l’impegno e la passione con artisti che sono anche due miei cari amici. Il film di Andrea, poi, racconta le vicende di un intellettuale scomodo e profetico finito un po’ nel dimenticatoio, che meritava di essere raccontato».