I bengalesi d’Emilia ai loro connazionali: tamponi per chi arriva
L’appello a chi è appena tornato in Italia. «Non siamo i nuovi untori» La comunità, che in regione conta oltre 10.000 persone, è in ansia per i parenti rimasti in patria e teme discriminazioni per i recenti episodi
C’è chi aspetta da mesi di poter riabbracciare i parenti che si trovano in Bangladesh e adesso si domanda quando potrà farlo. Altri sono in attesa del ritorno di dipendenti e lavoratori, perlopiù impiegati nelle cucine dei ristoranti, nei fast food o nei negozi di alimentari, che ora temono di subire la stessa discriminazione vissuta all’inizio dell’epidemia di Covid-19 dalle attività cinesi. E poi c’è un appello ai propri connazionali: «Chi nelle scorse settimane è rientrato in Italia si faccia fare il tampone».
La comunità bangladese di Bologna è in apprensione per quello che sta succedendo nello Stato asiatico con il coronavirus e lo stop ai voli deciso dal Ministero della Salute, attualmente con termine al 14 luglio. «I miei genitori sono partiti per il Bangladesh a inizio anno e non so quando riusciranno a tornare — spiega I. M., 27 anni, tecnico informatico ed elettricista residente in città dal 2004 —. Loro vivono qui dal vent’anni e sono andati lì per motivi familiari. Dovevano rientrare a febbraio, ma il giorno in cui dovevano prendere l’aereo hanno chiuso tutti i collegamenti. Il problema non è solo capire se sarà possibile farli tornare ma anche il prezzo altissimo che hanno raggiunto i voli, perché dall’Italia i datori di lavoro spingono per rientrare e nei giorni scorsi tutti si sono accalcati sulla prima possibilità disponibile. Comunque a Bologna non essendo ancora attivi i voli dalla Turchia e quello da Dubai si arriva passando necessariamente da Roma o Milano o facendo altri scali, serve verificare da lì».
I money transfer o le agenzie di viaggio raccontano di affari in picchiata da mesi. Jabed Mohammad, titolare di un negozio di elettronica, è invece responsabile dell’associazione culturale Bangladesh di Cattolica, nella Romagna dove i casi di rientro hanno finora creato più allarme in regione. «Ho scritto a tutti i miei contatti dicendo che se si è rientrati nelle scorse dal Bangladesh è un obbligo farsi fare il tampone — sottolinea Mohammad —. La situazione
” Il portavoce Sotto le Torri abbiamo avuto pochi rientri e da parte nostra c’è la sorveglianza sanitaria
per noi non va bene perché non vogliamo che si crei una discriminazione verso le nostre attività. Anche perché molti di noi si sono attivati nel periodo più duro per l’Italia in tanti modi e poi non ha senso essere sospettosi verso chi in questi mesi è sempre rimasto qui».
Quella del Bangladesh rappresenta la seconda comunità straniera sotto le Due Torri, con 5.121 presenze a fine 2019, dietro solo alla Romania. In Emilia-Romagna è invece al 15esimo posto con 10.223 cittadini. Sikder Neyamat, proprietario di un negozio di frutta e macelleria in via San Felice è stato per otto anni presidente dell’associazione che rappresentava la comunità bengalese a Bologna, prima che venisse sciolta lasciando di fatto solo a un coordinamento informale i rapporti tra chi arriva dal Bangladesh. «A inizio anno ho mandato due dipendenti in ferie e praticamente non li vedo da sette mesi — racconta Neyamat —. Io ho anche amici rimasti bloccati in Bangladesh, ci sono tante famiglie divise. In città non ci risultano casi di rientro numerosi perché tanti sono rimasti qui oppure non sono ancora riusciti a tornare. La sorveglianza sanitaria c’è, abbiamo avuto qualche problema quando l’epidemia è stata più forte ma sappiamo bene che se qualcuno si sente male deve affidarsi alle cure degli ospedali».