La lenta agonia di Radio Città del Capo
Dopo la prima, la proprietà sta trattando per vendere anche la seconda frequenza
Si sta consumando nel silenzio, in una lenta e mortificante agonia, la fine di Radio Città del Capo. L’’attuale proprietà, venduta nell’autunno scorso la prima frequenza a Rds, si appresta a cedere la seconda. Una vicenda sulla quale è calato il silenzio.
Si sta consumando nel silenzio, in una lenta e mortificante agonia, la fine di Radio Città del Capo. L’’attuale proprietà, venduta nell’autunno scorso la prima frequenza a Rds, ora si appresta a cedere la seconda: è stato incaricato di trattare con gli editori del territorio un intermediario toscano. Una vicenda sulla quale è calato il silenzio, compreso quello della radio ridotta a semplice ripetitore di Popolare Network, con i giornalisti in cassa integrazione (prorogata fino alla fine di luglio), senza trasmissioni legate alla vita della città, fino a 9 anni fa fulcro del palinsesto. Ma questa è la cronaca di un fallimento annunciato.
La parabola discendente della storica emittente è iniziata nel 2011 quando la cooperativa di giornalisti che la gestiva dal 1987, la Not Available, venne inglobata nella coop Voli, poi Open Group, il cui scopo sociale non era la radiofonia, ieri come oggi. Una fusione assai dibattuta all’interno della radio con i contrari convinti che la perdita dell’indipendenza editoriale l’avrebbe snaturata, mentre i favorevoli erano invece allettati dalla promessa di una stabilizzazione economica e contrattuale, poi avvenuta ma non nel ramo d’azienda appena acquisito. Tant’è che l’emittente perse presto la redazione storica e il ricambio fu di tutt’altra qualità e con guida incerta. Fino a perdere in certi anni le sostanziose provvidenze statali e ancor peggio la sua comunità di ascoltatori che dal 1987 al 2001, sostenne gli editori puri (e squattrinati) con sottoscrizioni. Rimaneva solo il nome e la fama, ma la sostanza fu subito altra.
E infatti Open Group quattro anni fa la esternalizzò nel network Netlit (che possiede altre 4 emittenti): un centro di produzione di Media Literacy. La compagine, unita all’inizio ora è agli sgoccioli e i soci si
La sede è chiusa e i pochi redattori rimasti sono ancora in cassa integrazione
parlano per avvocati (risulterebbe anche una citazione in tribunale a ottobre). Si discute di soldi, di patti parasociali, di reciproche inadempienze e ora per far tornare i conti l’unica strada è spartirsi la vendita della seconda frequenza. A litigare sono Open Group (40%) e Mandragola (40%) a cui è stata affidata la guida di Netlit (il 20% è della Fondazione Sotto i Venti).
Di rilancio della radio non se ne parla. Open Group si è chiusa nel silenzio. Il presidente uscente, Roberto Lippi, da un anno vicepresidente di Lega Cooperative, fautore della fusione dice «non me ne occupo più (…) bisogna parlare con Giovanni Dognini», ex Città del Capo, favorevole alla fusione 2011 e ora in corsa per la presidenza Open Group. Parla invece Renato Truce di Mandragola, «Open ha utilizzato la radio per i suoi interessi politici nei primi anni (posizionamento in città ndr), quindi ha optato per Netlit, ma nel tempo non ha rispettato i patti. Le soluzioni sono tre: o prendo tutto io o tutto loro o vendiamo a un terzo e chiudiamo tutto». In mezzo tre redattori (sotto Netlit) in rigoroso silenzio e una sede ancora chiusa.
A far rumore, in questo silenzio, è la strumentalizzazione di un marchio che fu protagonista nella stagione dell’emittenza libera e indipendente, legato alla sinistra: presto usciti i protagonisti di quegli anni, è rimasta solo l’aura di quello che fu, ma chi non sa (i politici in primis) continua a pensare che Radio Città del Capo è ancora quella di Not Available, sgualcita e in difficoltà, ma viva, creativa e presente nell’etere. Per capire basta sintonizzarsi sui 96.3 fm, la frequenza messa in vendita dal mondo della cooperazione che alla radiofonia preferisce altro.