LE PAROLE DA USARE ADESSO
La pandemia dei 100 giorni d’isolamento fisico va considerata uno spartiacque. Non solo nel modo di produrre, di consumare e di relazionarsi nella vita sociale. Ma nel modo di prendersi cura della propria persona, evitando le situazioni di rischio e prevenendo l’esposizione al contagio. In poche parole di migliorare qualitativamente la propria salute fisica e mentale. Sarebbe un pericoloso errore se ognuno pensasse che la fine del rischio d’infettarsi autorizzi a riprendere la libera vita di prima, ritornare a incontrarsi senza distanziamento, frequentare i luoghi pubblici senza la mascherina, non disinfettarsi le mani quando si entra in un esercizio. Queste elementari prescrizioni non vanno negate o considerate momentanee e legate solo alla pandemia. Sono, invece, semplici norme altamente salutari che dovrebbero entrare a far parte del comportamento quotidiano di ogni persona, come lavarsi i denti o fare la doccia. Se le malattie da Covid-19 ci hanno insegnato qualcosa, non si può tornare allo stile di vita di prima, poco igienico e molto a rischio. Questo accade tra gli adolescenti e i giovani. che hanno ripreso con più baldanza a ritrovarsi, a fare gruppo, ad ammucchiarsi.
Quasi a voler esorcizzare con la festa la minaccia del virus, quel nemico invisibile che vogliono sfidare e non temere. Spaventarli con dati sulle malattie fisiche e sui disturbi mentali, con una rincorsa degli esperti a chi la spara più grossa serve a poco, anzi moltiplica le paure delle persone, in particolare degli anziani che tendono a isolarsi e a temere l’incontro. Ed eccita ancora di più la tendenza a trasgredire, soprattutto dei giovani. La chiave per comunicare la necessità di atteggiamenti responsabili, deve avvenire anche da parte dei medici, degli psicologi e di altri professionisti non diffondendo l’allarmismo e non invocando il proibizionismo. Serve un linguaggio altro da quello finora usato, servono parole di ottimismo che sappiano parlare della bellezza della vita e non solo delle brutture, cioè di malattie e di morti. Occorre far crescere una cultura del sapersi prendere cura della propria persona e del voler migliorare il proprio benessere, che per essere tale deve essere anche collettivo. Una sana cultura di comunità e non personalistica o generazionale. Anche la scienza deve sapere entrare nella nuova. Viviamo in un mondo interconnesso, dal locale al globale, dove il rapporto tra i mondi animale, vegetale e ambientale, sempre più violentati e disastrati dalla mano rapace dell’uomo, ha bisogno di nuovi costruttori. I giovani hanno questa difficile ma splendida missione: farsi autori con la loro attiva partecipazione alla vita culturale e politica, di essere portatori di aria fresca, di nuove visioni, di programmi alternativi che sappiano parlare di una vita migliore per tutti.