Quei duecento articoli sul virus da Bologna
Non solo virologia ed epidemiologia, le pubblicazioni riguardano le più svariate discipline Gli studi arrivano soprattutto dal Sant’Orsola, a diversi hanno partecipato anche studenti di Medicina
Sono oltre 200 gli articoli scientifici pubblicati da Bologna sul Covid-19. Una mole di dati e studi sulle varie sfaccettature del coronavirus prodotte da medici e ricercatori da marzo, quando anche Bologna è stata travolta dallo tsunami. Sono professionisti in gran parte del Sant’Orsola ma anche dell’Ausl che si sono trovati in prima linea ad assistere centinaia di pazienti ma anche a mettere a punto strategie terapeutiche e studiare le diverse evoluzioni di una malattia di cui nulla si sapeva. Ieri si sono incontrati in un webinar, una conferenza digitale, per presentare almeno una trentina di lavori. Quattro minuti per esporre il lavoro, ma soprattutto il gusto di ritrovarsi ora che il peggio pare passato.
«Si diceva che il Covid avesse fatto perdere molte opportunità di fare ricerca, ma non è così, basta vedere la quantità di proposte — dichiara Pierluigi Viale, l’infettivologo di riferimento per la nostra regione e non solo —, questo ribadisce come questo ambiente sia ricco di iniziativa, intelligenza, cultura». E il bello è che a certi lavori hanno partecipato anche studenti di Medicina, «molti hanno lavorato con noi — ricorda Viale —, piccole api silenziose che si muovevano in ospedale». Grazie al loro contributo l’infettivologo Michele Bartoletti ha messo a punto un data base di oltre mille pazienti che nei giorni più bui della pandemia si presentavano in pronto soccorso con i sintomi del Covid. «Lo studio ha coinvolto diversi centri, tra cui il Niguarda di Milano, gli ospedali di Piacenza e di Modena ai tre bolognesi — spiega — per individuare i fattori predittivi di sviluppare una insufficienza respiratoria severa». L’aver oltre 70 anni, l’essere obeso, avere la febbre superiore a 38 sono alcuni di questi fattori. «È uno studio che ha ottenuto un buon riscontro in letteratura — commenta Viale — e potrà rappresentare un criterio clinico importante per migliorare la gestione clinica del paziente, sperando di non averne mai più bisogno». Sara Tedeschi ha invece partecipato alla prima esperienza di valutazione dell’uso del Tocilizumab, uno studio osservazionale sviluppato dal Sant’Orsola insieme agli ospedali di Modena e Reggio Emilia, una ricerca non ancora conclusa ma che fa ben sperare. C’è poi chi come Giovanni Barbara ha studiato i sintomi gastrointestinali del Covid-19 e chi, come Maria Guarino ha approfondito tra i sintomi dell’infezione il ruolo delle encefalopatie. C’è anche chi, come Tommaso Tonetti, ha studiato la pronazione, ovvero il mettere a pancia ingiù i pazienti con insufficienza respiratoria, e chi cooltre me Marzia Petrocelli i danni da Covid su gusto e olfatto.
Quello di ieri è stato solo il primo incontro del Sant’Orsola divenuto Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico), che sulla ricerca ad alto livello dovrà puntare molto più che in passato. «Attendiamo la pubblicazione dell’atto del ministero in Gazzetta ufficiale, tra fine luglio e inizio agosto — spiega il direttore generale Chiara Gibertoni —. Dopo il Covid il Sant’Orsola e le eccellenze di Bologna sono la stazione prima di Milano, e non solo per chi arriva dal Sud. Anche per il modello assistenziale, perché il nostro Irccs è pubblico, quelli di Milano sono privati». Un video infine ha ricordato i giorni dell’emergenza, «giorni durissimi — sottolinea Viale — che non avremmo mai voluto vivere ma dai quali veniamo fuori più forti».
” Viale Si diceva che con la pandemia la ricerca fosse morta ma la quantità di lavori lo smentisce
” Gibertoni Ora il Sant’Orsola e le eccellenze di Bologna sono la stazione prima di Milano non solo dal Sud