IN CLASSE AD ORARI SCAGLIONATI
Attenzione, attenzione, i cordiali lettori e le cordiali lettrici non slittino sulla vocale. C’è una data, 14 settembre, inizio del nuovo anno scolastico (oh yeah) e c’è, soprattutto, una nuova parola: scaglionamento. L’entrata e l’uscita da scuola non più come un momento unico, ma differenziate, eccome, se differenziate. Per evitare assembramenti di studentesse, studenti, genitori, semplici accompagnatori. Da come si muove, da cosa dice o non dice, dai gesti, composti o meno, dai versi, dalla fisicità ribelle o ipercontrollata, solo davanti a scuola, possiamo capire chi sia davvero un figlio. La scuola o la vita, i compromessi logistici per uno dei primi fughini, non sarà facile…Dopo i quindici minuti di celebrità profetizzati da Andy Wahrol, i quindici minuti di scaglionamento, prima gli uni, dopo gli altri e così via in un rondò scolare. Il già fittissimo calendario di attività scolastiche ed extrascolastiche, dal corso di cinese mandarino alla lezione prova di arte della falconeria, rigorosamente ad una quarantina, cinquantina minuti di macchina dal luogo di residenza vedrà eroso il suo rigido palinsesto, dall’irruzione delle nuove modalità di gestione dei flussi. La perdita dell’«unità aristotelica» dell’orario d’inizio e fine lezione è la vera rivoluzione del costume che ci attende. Non c’è misura, protocollo, linea guida che tenga, al cospetto, di un’accelerazione temporale, di uno stop&go dei tempi scolastici.
Alla fascia oraria delle 7.30 ci si abituerà fingendo un’inedita baldanza, viceversa, ammettendo di essere in camicia da notte e in pigiama, ma l’ingresso e l’uscita spalmati, scaglionati, differenziati, al solo evocarli generano una ridda di scenari apocalittici e terribili, quasi fosse una puntata di una serie distopica. Momenti diversi, tempi diversi, a comporre un più che probabile ed estenuante zig zag per impegnative operazioni di recupero. In entrata e in uscita. A dirla tutta, il termine scaglionamento fa molto fureria, caserma, passaggio in rassegna delle truppe in una piazza d’armi. Accadrà probabilmente che, acrobaticamente e allo spasimo, le famiglie si abitueranno alla nuova modalità non più unitaria e omogenea d’ingresso e uscita dai singoli istituti scolastici.
Probabile che s’inizi ad avvertire una «sindrome da duplice o triplice campanella», integrata da un timor panico per un cambio turno improvviso, proprio mentre, all’improvviso, dal 14 settembre la scuola tornerà ad animarsi e, speriamo, riavviarsi dopo l’esilio e la stasi della fase uno e due del Covid19. Gli effetti temuti, paventati dello scaglionamento animerà i discorsi di mamme abbronzate con gli occhiali da sole, dalla montature grandi, grandi e padri che, di scatto temeranno di aver sbagliato giorno ed ora, con la conseguenza immediata di evertere teatralmente quel concentrato fisico, simbolico, sentimentale che è l’entrata di scuola, per qualsiasi figlio e figlia. Indimenticabile il tono, proprio quel tono lì fra lo stizzito e l’imbarazzato con cui, ad un certo punto, gli adolescenti intimano un categorico: «Lasciami pure qui, vado da solo/a». Poche settimane e cambierà anche questa drammaturgia stessa, dell’entrare e uscire da scuola.
Giusto non farne una banale questione di tranquillità, se non piuttosto di mancato assillo da parte di genitori apprensivi e irrequieti. Gratta, gratta, però, sotto la patina di un forzoso understatement un quesito martellante comincia a farsi strada: «chissà se , all’uscita di scuola, ritroveranno la strada verso casa». Chissà.