Il caso Darknet e la malapianta che attecchisce in terre ricche
Ascuotere dalle radici la «malapianta» che in Emilia-Romagna si è insediata ed è cresciuta a dismisura, è stata l’inchiesta Aemilia nel 2015, una mazzata «storica, imponente, senza precedenti» per le mafie del Nord, nelle parole dell’allora procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Un’inchiesta imponente, con 240 persone arrestate nella notte tra il 28 e il 29 gennaio 2015. Fu anche la sveglia per una terra ricca che, in silenzio, aveva attirato e alimentato gli affari delle cosche calabresi, bisognose di reinvestire il denaro sporco in attività lecite. E dove se non in EmiliaRomagna, locomotiva d’Italia. Dal filone Aemilia sono nate almeno altre 13 inchieste per associazione mafiosa. A distanza di cinque anni, con la Cassazione che ha confermato l’esistenza della cosca emiliana comandata dai Grande Aracri di Cutro, mentre si sta celebrando l’appello per i 120 condannati con rito ordinario, due giorni fa è stata la bassa Romagna a svegliarsi con il rumore delle manette scattate per 8 dei 55 indagati dell’operazione Darknet. Smantellata un’organizzazione di stampo camorristico, che da Cattolica aveva messo su ben 17 aziende sparse per l’Italia, per riciclare denaro di provenienza illecita. «Occorrono interventi urgenti — l’allarme della Uil regionale e di Rimini —, potenziamento delle Procure e delle forze di polizia». Se i Grande Aracri tra Reggio Emilia e Modena avevano messo le mani sull’edilizia e sugli appalti per la ricostruzione post-sisma, in Romagna le famiglie vicine ai clan Sarno e dei Casalesi, spaziavano dalla ristorazione alle sale scommesse, all’edilizia, alla distribuzione di carburanti. Due le caratteristiche comuni: la capacità di intimidazione e quella «zona grigia» di colletti bianchi, professionisti e cittadini comuni, che in cambio di denaro si sono messi a disposizione degli interessi delle mafie. «La zona grigia — ha detto il procuratore distrettuale antimafia Giuseppe Amato — è fondamentale per i clan, gente che non fa parte dell’associazione ma ne diventa pedina». Ma la Romagna era già stata scelta da Nicola, detto Rocco, Femia per costruire il suo impero del gioco d’azzardo: arrestato nel 2011 nell’inchiesta Black monkey, è stato condannato in primo grado a 26 anni di carcere.