Corriere di Bologna

Il caso Darknet e la malapianta che attecchisc­e in terre ricche

- Andreina Baccaro © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ascuotere dalle radici la «malapianta» che in Emilia-Romagna si è insediata ed è cresciuta a dismisura, è stata l’inchiesta Aemilia nel 2015, una mazzata «storica, imponente, senza precedenti» per le mafie del Nord, nelle parole dell’allora procurator­e nazionale antimafia Franco Roberti. Un’inchiesta imponente, con 240 persone arrestate nella notte tra il 28 e il 29 gennaio 2015. Fu anche la sveglia per una terra ricca che, in silenzio, aveva attirato e alimentato gli affari delle cosche calabresi, bisognose di reinvestir­e il denaro sporco in attività lecite. E dove se non in EmiliaRoma­gna, locomotiva d’Italia. Dal filone Aemilia sono nate almeno altre 13 inchieste per associazio­ne mafiosa. A distanza di cinque anni, con la Cassazione che ha confermato l’esistenza della cosca emiliana comandata dai Grande Aracri di Cutro, mentre si sta celebrando l’appello per i 120 condannati con rito ordinario, due giorni fa è stata la bassa Romagna a svegliarsi con il rumore delle manette scattate per 8 dei 55 indagati dell’operazione Darknet. Smantellat­a un’organizzaz­ione di stampo camorristi­co, che da Cattolica aveva messo su ben 17 aziende sparse per l’Italia, per riciclare denaro di provenienz­a illecita. «Occorrono interventi urgenti — l’allarme della Uil regionale e di Rimini —, potenziame­nto delle Procure e delle forze di polizia». Se i Grande Aracri tra Reggio Emilia e Modena avevano messo le mani sull’edilizia e sugli appalti per la ricostruzi­one post-sisma, in Romagna le famiglie vicine ai clan Sarno e dei Casalesi, spaziavano dalla ristorazio­ne alle sale scommesse, all’edilizia, alla distribuzi­one di carburanti. Due le caratteris­tiche comuni: la capacità di intimidazi­one e quella «zona grigia» di colletti bianchi, profession­isti e cittadini comuni, che in cambio di denaro si sono messi a disposizio­ne degli interessi delle mafie. «La zona grigia — ha detto il procurator­e distrettua­le antimafia Giuseppe Amato — è fondamenta­le per i clan, gente che non fa parte dell’associazio­ne ma ne diventa pedina». Ma la Romagna era già stata scelta da Nicola, detto Rocco, Femia per costruire il suo impero del gioco d’azzardo: arrestato nel 2011 nell’inchiesta Black monkey, è stato condannato in primo grado a 26 anni di carcere.

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